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Bandiera bianca

Le proteste si fanno anche sulle statue, ma a loro non importa

Antonio Gurrado

Il fatto che le sculture diventino parte principale di alcune manifestazioni per mano di attivisti non fa che ricordarci quanto la lotta contro il tempo sia un problema solamente umano, da cui può sfuggire solo chi è fatto di blocchi marmorei o di qualsivoglia materiale che dia durezza e resistenza negli anni

Cosa dicevo delle statue? Che oramai ne abbiamo paura, poiché siamo terrorizzati dal definitivo. È il caso di Elisabetta II che non riesce a salire sul quarto plinto di Trafalgar Square, è il caso della donna che allatta di Vera Omodeo, che fatica a trovare collocazione a Milano. Un’ulteriore conferma giunge ancora da Londra, dove alcuni attivisti hanno appeso dei bambolotti al collo di statue degli uomini celebri più disparati, da Laurence Olivier a Thierry Henry. È una protesta a favore dell’incremento del congedo di paternità, ma alle statue non importa nulla: sono lì per ricordarci di qualcuno che in un modo o nell’altro ha meritato la gloria eterna (spero che Thierry Henry non mi legga; potrebbe montarsi la testa) e l’eternità non vede le campagne politiche, le proteste mirate le sembrano formichine impazzite, confuse voci inascoltate le sortite estemporanee. Le statue sono lì, ferme, immobili nella loro lotta contro il tempo, che intanto combatte anche contro di noi, aggredendoci ogni anno, ogni giorno, ogni secondo. Forse ci converrebbe stare dalla loro parte.

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