Bandiera bianca
Milei, Trump, Grillo. Comprendiamo i politici solo se usano il linguaggio televisivo
Se la realtà imita la cattiva tv, siamo noi i primi a dare credito alla politica solamente quando assomiglia a un format del piccolo schermo: dalle frasi fatte ai discorsi istituzionali, un insieme di caricature impostate che corrispondono ai nostri preconcetti
Javier Milei è stato colto in castagna da ardimentosi sapientoni, che hanno riconosciuto in un suo recente discorso un calco pressoché testuale dal copione dell’antica serie “West Wing”. Ciò indica sia che gli speechwriter non sanno più che pesci pigliare, sia che in Argentina hanno un po’ di arretrati sulle piattaforme di streaming. Per certi versi è anche una notizia consolante: Oscar Wilde diceva infatti che la vita imita l’arte, e Woody Allen postillava che in realtà imita la cattiva televisione; se non altro, in questo caso ha imitato quella fatta bene.
Tale esercizio di filologia dei discorsi presidenziali veicola tuttavia anche una considerazione più generica. Così come ormai ci aspettiamo che gli inquirenti risolvano i casi di cronaca nel paio d’ore sufficiente ai detective televisivi, allo stesso modo ci aspettiamo che i politici somiglino all’idea che ci siamo fatti di loro grazie al pastone di fiction e talk show che la tv ci propina indistintamente. Userò un termine orrendo: la narrazione della politica consta della reiterazione di stilemi che corrispondono ai nostri preconcetti. Da Trump pretendiamo che sbraiti “You’re fired!”, da Beppe Grillo che castighi il malcostume deridendolo in una sorta di reiterato “Te la do io l’Italia”, da Mattarella che parli come in un ininterrotto messaggio augurale di Capodanno per trecentosessantacinque giorni. Ci fidiamo dei politici solo quando ricalcano un format televisivo; comprendiamo la politica solo quando è tratta da una storia vera.