Bandiera bianca
Beppe Grillo non è inintelligibile
Pure il comico è entrato nella corsa a tacciare di incomprensibilità qualsiasi orazione politica
Mai avrei pensato di vederlo, eppure è arrivato il giorno in cui difendo Beppe Grillo. Doverosa premessa, a riprova che non sono ammattito: da quando Alessandro Giuli ha pronunciato il proprio celebre discorso ministeriale, subito derubricato a supercazzola per quanto fosse perfettamente lineare ma solo terminologicamente complicato, è partita la corsa a tacciare di incomprensibilità qualsiasi orazione politica, ampliando la tradizionale diffidenza patria nei confronti del latinorum alla nostra stessa lingua madre, che ricordo a tutti essere l’italiano. Ora tocca perfino a Beppe Grillo, proprio lui, l’anti-Conte che come tale rifugge da sintagmi quali “salvo intese”, “autodichiarazione”, “pretermesso” e “dominicale”. Grillo sarebbe reo di aver condotto un’argomentazione secondo cui si va verso un’organizzazione sociale suddivisa “in un terzo per il lavoro salariato, un terzo per il lavoro per sé e la famiglia, un terzo per il lavoro civile volontario”. Ora, a me sembra piuttosto comprensibile, e non vedo mezzo termine che richieda il ricorso al grande dizionario Battaglia né tampoco al Tommaseo-Bellini. Si può dire che l’argomentazione di Grillo è insensata, o più probabilmente infondata; si può dire che non la si trova condivisibile, ma fra questo e rigettarla a priori come inintelligibile passa un fiume che credo si chiami democrazia. Tanto più che Grillo, con i suoi presunti sonetti di dieci capoversi in prosa, con la “barra dritta” confusa con la barra a dritta (cioè a destra), con tutti i tic verbali da italiano semicolto ricicciati pescando in un lessico più orecchiato che dominato, nel corso degli anni ha dato dignità a un linguaggio politico il cui difetto di certo non è l’incomprensibilità. Caso mai, il problema è che si capisce fin troppo.