Bandiera bianca
Il senso dello stereotipo di Jamie Oliver
Dalle tovaglie a quadrettoni che in Italia non si usano più alla rappresentazione approssimativa della comunità aborigena. Mentre il ritiro dei libri dello chef (ormai scrittore) da parte dell'editore suona come unghie sugli specchi
Ho un commovente ricordo dei ristoranti italiani di Jamie Oliver, quando vivevo in Inghilterra, con le loro tovaglie a quadrettoni e gli insaccati che pendevano dal soffitto, così onusto da minacciare l’occasionale infortunio di un avventore preso di mira dalla forza di gravità. Non ci ho mai mangiato ma, da straniero, quelle vetrine erano un bel modo di sentirsi apprezzato in forza di stereotipi: nel migliore dei casi, ci si faceva due risate; nel peggiore, era uno spunto per spiegare che no, in Italia le tovaglie a quadrettoni non le usava più nessuno, come la brillantina o il delitto d’onore. Una volta chiusa la catena, Oliver da chef si è reinventato scrittore ancor più esotico, ambientando un libro per bambini in Oceania. Apriti cielo: la comunità aborigena è insorta per la rappresentazione stereotipata e approssimativa nella storia, così che la casa editrice ha dovuto ritirare il volume dal commercio, dicendo che non ottemperava agli standard di pubblicazione. È ovvio che in Penguin Random House, una delle più grandi case editrici al mondo, il rispetto degli standard di pubblicazione viene controllato prima dell’uscita in libreria, non dopo, ergo la trovata risuona di unghie che accanitamente graffiano specchi. Mai quanto le scuse di Oliver stesso, il quale si è detto devastato dal dolore che ha causato, quando invece sarebbe forse bastato un: “Ma vi ricordate di me? Sono quello delle tovaglie a quadrettoni, cos’altro vi aspettavate?”.
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Le incoronazioni costano, scandalizzarsi no
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