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Bandiera bianca

Silvio Orlando e quella falsa libertà di usare compulsivamente il telefono

Antonio Gurrado

Dal teatro alla scuola, dal letto alla chiesa: non ci facciamo problemi a utilizzare i nostri dispositivi nei momenti più disparati, senza renderci conto del fastidio arrecato agli altri. Ma se non riusciamo a passare neppure un'ora senza, l'illusione di essere liberi si traduce in schiavitù

Da giorni tutti elogiano Silvio Orlando, che ha avuto l’ardire di interrompere uno spettacolo all’Arena del sole di Bologna perché i display dei telefoni continuavano a illuminarsi nel buio della platea. Ha fatto bene, siamo tutti d’accordo, ma guai a quella nazione che ha bisogno di un attore per ricordarsi cosa sia la buona educazione. Peggio ancora va, però, a quella nazione che scambia per questione di bon ton quello che in fondo è un appello politico; a mio avviso, infatti, l’utilizzo dei telefoni è il simbolo principe del complicato rapporto fra il nostro popolo e la libertà.

Pretendiamo di utilizzarli ovunque – a teatro, a scuola, a letto, in chiesa – perché ci illudiamo che il nostro essere liberi consista nel dare quando ci pare un’occhiata alle notifiche o nel mandare a chi ci pare una fotina al volo. Ci sentiamo così liberi, nel farlo, da non pensare all’evenienza che chi è con noi a teatro, a scuola, a letto o in chiesa debba sentirsi altrettanto libero di non venire distolto dalle nostre notifiche e dalle nostre fotine. Non solo: afferriamo il telefono in modo tanto compulsivo da non renderci conto che, se non riusciamo a resistere quell’oretta e mezza senza dover mettere la mano in tasca e l’occhio al display, se non riusciamo a goderci dall’inizio alla fine uno spettacolo, una lezione, una dormita o una messa, forse quella che stiamo esercitando non è una libertà. Guai a quella nazione che si sente talmente libera da non accorgersi di essere ridotta in schiavitù. 

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