Bandiera bianca
"Je suis Charlie Hebdo" dieci anni dopo: non era Charlie quasi nessuno
Visto il linciaggio cui viene sottoposto chiunque dica qualcosa di appena fuori luogo e considerato che oggi gli autori ci pensano due volte prima di scrivere ciò che vogliono, viene da chiedersi cosa sia rimasto dello spirito con cui si difendeva la libertà di espressione del giornale francese
Ora che sono trascorsi dieci anni esatti, possiamo dirlo con sicurezza. Visto il linciaggio cui viene sottoposto chiunque dica qualcosa di appena appena fuori luogo; visto lo sdegno che percorre l’opinione pubblica quando qualcuno non si affretta a dire ciò che va di moda dire in quel preciso istante; visto l’elevatissimo numero di persone in cella per avere praticato il mestiere di scrivere, quelle vicinissime al nostro cuore e quelle delle quali ignoriamo financo il nome; visto il sempre più frequente sottotesto secondo cui chi fa circolare idee e notizie in qualche modo va a cercarsi guai; viste le case editrici che intervengono per emendare i classici o infarcirli di trigger warning; visti gli autori che ci pensano due volte prima di scrivere una storia, una frase, una paroletta che possa urtare le sensibilità più disparate; visto il balletto di scuse automatiche da parte di chicchessia, di fronte al tribunale del popolo in convocazione permanente; visti gli impietosi colpi di spugna inferti dalla censura ora che si è data una passata di cipria progressista; e visto anche il costante svilimento della libertà di parola a opera di ambienti pseudo-conservatori, che la utilizzano come pretesto per la diffusione di menzogne, l’adesione a complottismi, la provocazione gratuita, il dog-whistling violento e la gara di rutti – ebbene, viste tutte queste cose, ora che sono trascorsi dieci anni esatti, possiamo dirlo con sicurezza. Di tutti quelli che allora dicevano orgogliosi “Je suis Charlie”, non era Charlie quasi nessuno.
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