Foto ANSA

Bandiera bianca

Zuckerberg, il fact checking su Meta e una verità che sfugge: i social siamo noi

Antonio Gurrado

Abbiamo creduto che le piattaforme fossero un attore diverso da noi, con cui interfacciarci, ma col tempo è emerso che sono lo specchio di una maggioranza berciante: un mostruoso leviatano 

Non sono sorpreso dalla decisione di Meta di rammollire il fact checking e la moderazione dell’hate speech su Facebook e su Instagram. Non solo perché, guardiamoci in faccia, finora tali restrizioni erano ben poco efficaci, vaghe petizioni di principio che di tanto in tanto colpivano a casaccio e senza tenere in minima considerazione il contesto; quanto perché, fra ieri e oggi, la linea di Meta non è cambiata affatto. Mi spiego. I social network sono la realizzazione distopica dell’ideale delirante di Jean-Jacques Rousseau, un contratto sociale che preveda l’alienazione totale dei diritti di tutti a tutti; sono un riflesso deformato della democrazia portata alle estreme e più assurde conseguenze, e, pertanto, la realizzazione del sospetto di Tocqueville secondo cui la democrazia si sarebbe rivelata una dittatura della maggioranza.

Se ieri i social strizzavano l’occhio alla maggioranza che voleva silenziare gli altri con qualche scusa, oggi i social strizzano l’occhio alla maggioranza che pretende di mescolare in un unico pastone bigio verità e menzogna, critiche e minacce. Ciò avviene perché, quando ci siamo iscritti ai social, ingenuamente abbiamo creduto che fossero un attore diverso da noi, con cui interfacciarci; col tempo è emerso invece che i social siamo noi, in quanto l’unico interesse di Facebook, di Instagram, eccetera, è di conservare quanti più utenti sia possibile, ammansendoli e seducendoli. Sono un mostruoso leviatano, il cui corpaccione si muove guidato da una maggioranza berciante, spesso anonima e quasi sempre ottusa. Zuckerberg si limita a porgerci lo specchio e a dirci, qualsiasi cosa si veda, che siamo bellissimi così.