
bandiera bianca
Una nazione che non sa parlare ma non rinuncia a farlo, soprattutto ad alta voce
Meditazione a partire da una pubblicità televisiva con Yuri Chechi che invita i passanti a vendere la propria vecchia auto
“Yuri Chechi!”, strilla un quidam incontrando per strada il celebre ginnasta, che immantinente gli domanda se voglia sapere come vendere la propria vecchia auto. Sarà che non vivo in uno spot televisivo, però mai mi verrebbe in mente di rispondere entusiasticamente di sì, come fa il quidam nella pubblicità: un po’ perché la mia vecchia auto va che è una bellezza, un po’ perché saprei già come rivenderla senza bisogno che me lo suggerisse un olimpionico, un po’ perché, se incontrassi Yuri Chechi, infiniti sarebbero gli argomenti di cui parlargli a discapito del destino di una Cinquecento col cambio automatico. Se nella réclame appare invece assolutamente naturale che Yuri Chechi abbordi sconosciuti proponendo compravendite di veicoli usati, è perché l’Italia oramai si comporta come nei vecchi manuali di conversazione per imparare lingue straniere sbertucciati tempo fa da Achille Campanile, dove si inanellavano non sequitur del tipo: “Mi sa indicare la strada per la stazione?” “No, ma so dirle il numero di scarpe calzato da sua cugina”. Questo stratagemma, utile nella didattica per affastellare la conoscenza di quanto più vocaboli nuovi, è diventato invece il modo abituale di dialogare in una nazione che sta via via perdendo la concatenazione logica, la proprietà di linguaggio e la lettura del contesto; ma che, ciò non di meno, non rinuncia affatto al piacere di parlare, soprattutto ad alta voce.