Ogni venerdì un manuale di difesa logica per la prossima campagna elettorale
Il Foglio ha deciso di pubblicare alcuni dei “sofismi economici” di Frédéric Bastiat. La prima puntata
Ci sono delle idee sbagliate di grande successo. Hanno sempre dato cattivi frutti quando sono state coltivate e nonostante ciò, ogni volta che si ripresentano sotto abiti diversi, ottengono sempre seguito tra le masse. Attirano consensi perché intuitive e semplici, ma sono sbagliate: l’aumento della spesa pubblica (o il taglio delle tasse) che per magia si ripaga da solo, fare opere pubbliche non perché servono ma per “dare lavoro”, proteggere le aziende nazionali dalla concorrenza straniera, favorire le esportazioni e penalizzare le importazioni, difendersi dall’innovazione – dai robot alle aziende digitali – perché la tecnologia distrugge posti di lavoro, mandare i più anziani prima in pensione per creare occupazione per i giovani, creare banche pubbliche per dare prestiti agevolati a chiunque non abbia credito dalle banche private oppure, perché no, stampare soldi per distribuirli a chiunque ne abbia bisogno.
Si tratta di proposte che con diverso grado di sofisticazione – più elaborate per le forze politiche riformiste e moderate, più rozze ed elementari per quelle populiste – sono presenti, almeno in parte, nei programmi di tutti i partiti politici. Sono proposte attraenti perché mostrano in maniera palese i vantaggi ai beneficiari, mentre nascondono i costi a chi dovrà sopportarli.
Per immaginare come sia fatto l’altro lato della medaglia serve uno sforzo logico in più. “La vostra teoria si ferma a ciò che si vede e non tiene conto di ciò che non si vede”, scriveva Frédéric Bastiat, l’economista francese vissuto nella prima metà dell’Ottocento e impegnato in un’opera di divulgazione contro le inconsistenze logiche della sua epoca. Sembrerà strano, ma come scrive in un’introduzione agli scritti di Bastiat il premio Nobel per l’Economia Friedrich von Hayek, le fallacie contro cui si scagliava il pensatore francese sono ancora vive e non smettono di produrre frutti cattivi.
E per questo il Foglio ha deciso di pubblicare, uno ogni settimana, alcuni dei “sofismi economici” di Bastiat, racconti in cui l’autore mostra l’assurdità di alcune idee economiche di successo portandone, con ironia, le premesse sbagliate alle estreme conseguenze. Si parte con l’introduzione di Hayek (qui sotto), che segnala la profondità dei semplici e divertenti sofismi di Bastiat e la loro logica e conseguente adesione ai princìpi liberali. Con lo stesso approccio, ogni racconto di Bastiat sarà affiancato da un commento di un economista, accademico, firma del Foglio che ne spiega l’attualità del messaggio.
Cosa ha da insegnarci il racconto sul “vetro rotto”? C’è ancora qualcuno che crede che il figlio di Jacques Bonhomme rompendo una finestra abbia dato impulso all’economia? Sembrerebbe di no, nessuno si sognerebbe di dire che distruggere cose e dilapidare risorse serva a produrre ricchezza. Eppure è il ragionamento che c’è alla base dei tanti provvedimenti volti a tenere in vita aziende fallite, settori decotti, opere di dubbia utilità, distribuzione a pioggia delle risorse. Questi soldi non spariscono nel nulla, si dice, ma entrano nel circolo: chi riceve uno stipendio per un lavoro inutile o un reddito per non lavorare, si dice, va comunque a fare la spesa, il negoziante ordina la merce alle aziende, le aziende aumentano la produzione e assumono nuove persone, i nuovi impiegati ricevono uno stipendio e così il pil aumenta e la spesa pubblica si ripaga da sola. Ma è la stessa logica che c’è nel rompere le finestre per stimolare l’economia, d’altronde “che fine farebbero i vetrai se non si rompessero mai i vetri?”. Questo è ciò che si vede, ma quello che non si vede è che queste risorse potevano essere impiegate diversamente, per un uso più produttivo. Oltre al consumatore che deve comprare il vetro nuovo e al vetraio che deve riparare la finestra rotta, Bastiat introduce una terza figura che tutti ignorano: il ciabattino. L’artigiano che avrebbe potuto vendere un paio di scarpe al consumatore se quest’ultimo non avesse dovuto pagare il vetro rotto. Un’economia che spreca risorse, ci spiega ancora oggi Bastiat, è una società che avrà la stessa quantità di vetri ma meno scarpe a disposizione.
Molto istruttivi sono anche i paragrafi sulle tasse e i lavori pubblici, in cui Bastiat indica un principio spesso dimenticato, quello secondo cui le opere pubbliche dovrebbero essere finanziate per produrre qualcosa di utile e non semplicemente per distribuire posti di lavoro. Questo punto è interessante per un motivo che riguarda la cosiddetta spending review, che è stata finora intesa solo come una revisione delle spese passate, senza rendersi conto che mentre si cercava con fatica di eliminare qualche spesa inefficiente, nello stesso tempo, se ne approvavano con leggerezza altre altrettanto inutili. Vista la difficoltà a tagliare gli sprechi storici, sarebbe forse il caso che la commissione per la spending review svolga un lavoro preventivo di analisi costi-benefici, di blocco prima che di taglio delle spese inutili.
Non meno significativo, alla luce delle battaglie protezioniste contro l’olio tunisino, le arance marocchine e i trattati di libero scambio con Stati Uniti e Canada, è l’esilarante “Petizione dei fabbricanti di candele”, in cui Bastiat mostra l’assurdità del protezionismo attraverso un reclamo al governo da parte dei produttori di luce artificiale contro la “concorrenza sleale” del sole, che fornisce lo stesso servizio in maniera gratuita. Stessa logica applicata all’ossessione mercantilista per la bilancia commerciale.
Su un tema invece, quello del credito, il mondo di Bastiat era molto diverso da quello odierno a causa dell’enorme trasformazione del sistema finanziario. Anche se c’è da dire che alla sua epoca, come oggi, circolavano con grande apprezzamento le idee di creare “banche del popolo” per dare credito a basso tasso d’interesse, come quella fondata dal socialista Pierre-Joseph Proudhon e poi miseramente fallita. Il suo racconto sulle banche è quindi un po’ datato, soprattutto perché forse neppure una mente brillante e abituata a ragionare per assurdo come la sua è stata capace di immaginare certi discorsi odierni – a volte persino presi sul serio – sulla stampa illimitata di “moneta sovrana”.
Più attuale è il capitolo sulla paura per la disoccupazione tecnologica, sul terrore luddista per le macchine che “rubano” il lavoro agli uomini. Proprio su questo tema, un aneddoto che sicuramente sarebbe piaciuto a Bastiat è quello raccontato da Milton Friedman. Negli anni 60, durante una visita per una consulenza a un governo di un paese asiatico, l’economista americano fu accompagnato a visitare un grande cantiere per la realizzazione di un canale, in cui però le migliaia di operai impiegati usavano pala e piccone anziché ruspe, escavatori e cingolati. Friedman chiese all’ufficiale perché mai non usassero macchinari e il funzionario spiegò che l’opera pubblica era in realtà un “programma” per dare posti di lavoro. A quel punto Friedman rispose: “Ah, credevo che vi servisse un canale. Ma se volete più posti di lavoro perché non date agli operai i cucchiai al posto delle pale?”. Il mondo è cambiato molto anche rispetto agli anni 60 di Friedman, ma certi argomenti usati contro l’introduzione di innovazioni tecnologiche (basti pensare a servizi come Uber e Flixbus) indicano proprio la preferenza per il cucchiaio al posto della pala e della pala al posto della ruspa.
I racconti di Bastiat hanno più di 150 anni, ma possono essere un’utile guida per valutare l’imminente Legge di stabilità e per la prossima campagna elettorale. I programmi dei partiti ci mostreranno tante proposte allettanti e bonus, ciò che si vede, ma è a quel punto che sarà utile fare ricorso alla logica di Bastiat per pensare anche a quanto costano e chi dovra pagare, che è ciò che non si vede.
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