La bambina contesa
Il caso dei genitori-nonni e della felicità (via tribunale) di “Viola” spiegato, o quasi, da Maupassant
Nel villaggio in Normandia c’erano due capanne di contadini poveri, i Tuvache e i Vallin, e avevano molti figli. Un giorno d’estate Madame d’Hubières e suo marito, che erano ricchi, passano in carrozza. Lei è intenerita, vorrebbe un bambino come quelli. Entrano in casa dei Tuvache e chiedono di adottare il più piccolo, Charlot, in cambio di un vitalizio mensile alla famiglia, ma i genitori rifiutano sdegnati. Madame e Monsieur entrano allora dall’altra famiglia, e i Vallin accettano di dare loro il piccolo Jean, attirati più dal vitalizio che dalle prospettive future del figlio. I Tuvache osservavano, disprezzavano. In cuor loro già pentiti di aver rifiutato. Charlot cresce, presto ha sulle spalle l’intera famiglia. Mentre i vicini prosperano. Passano diciotto anni, si ferma una carrozza. Ne scende, cresciuto come un signorino, Jean. E’ tornato a far visita ai suoi genitori. A ringraziarli. Charlot osserva discosto, in lui monta un rancore furioso contro i suoi vecchi. L’avessero dato in adozione, la sua vita sarebbe stata migliore. E se ne va dalla casa, lasciandoli da soli.
Nei campi è un racconto di Guy de Maupassant del 1882, ed è molte cose insieme (una sottile riscrittura senza amore del Figliol prodigo, tra le altre cose). A farsela tornare in mente oggi, diventa la risposta – o l’impossibilità di una risposta – all’unica domanda che abbia davvero senso nel caso della bambina (per convenzione è “Viola”) la cui adottabilità è stata confermata dalla Corte d’appello di Torino, sezione minorile, dopo una sentenza rigettata in Cassazione. E che dunque gli attempati genitori, per convenzione naturali, Luigi Deambrosis e Gabriella Carsano, che quando la bambina è nata avevano 57 anni lei e 69 lui, non riavranno. La giustificazione della sentenza è che ora la bambina ha un’altra famiglia, in cui è felice. E bisogna pensare alla felicità della bambina. C’è un’altra domanda, ovviamente: e la felicità (un diritto?) dei genitori? La felicità dei genitori deraglia su questi binari giuridico-culturali: chi dice che a quell’età non avevano un vero diritto di diventare genitori, e i figli non sono una consolazione; chi nota che, in un mondo in cui a nessuno si vieta né un viaggio d’inseminazione della speranza, né un ultimo viaggio in Svizzera, quale legge o tribunale può mai fissare l’età per essere genitori? Ognuno decida secondo il proprio grado di postmodernità.
Resta la domanda sulla felicità di “Viola”. E Maupassant dà la risposta più materiale, eppure insondabile. Che esclude gli affetti, che bada al sodo. Ma è chiaro che anche la sua, alla fine, è una risposta parziale. E se nemmeno Maupassant sa rispondere appieno, perché mai dovrebbe essere un tribunale a saperlo fare? Hanno sbagliato i giudici che anni fa decisero, con un’ingerenza e un pregiudizio, di togliere “Viola” ai loro genitori quasi naturali. Il resto è il corso del caso. Buona fortuna, bambina.