Il silenzio del mondo di fronte a Charlie Gard e al suo dovere di morire
L'insondabile dramma umano di una famiglia si accompagna a una tragedia giuridica
Al direttore - Venerdì i medici dell’ospedale inglese in cui è ricoverato il piccolo Charlie Gard staccheranno la spina della macchina che gli permette di respirare, lasciandolo morire. Lo faranno perché così ha deciso un tribunale, assecondato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, contro il volere dei genitori, i quali chiedevano solo il tempo di potere portare il figlio negli Stati Uniti per provare a curarlo. Dell’assurdità etica e morale della vicenda avete già scritto, così come dell’autoritarismo dei giudici, i quali hanno deciso che il “miglior interesse del fanciullo” è che Charlie muoia. Ciò che mi ha colpito di più in questa vicenda è però il silenzio con cui è stata accolta e vissuta da media, opinionisti e persone comuni: ho visto più appelli per gli orsi polari, più indignazione per le mucche al macello, più mobilitazione per i lupi dell’Appennino. Ci siamo forse abituati definitivamente alla cultura della morte, da non riuscire più nemmeno ad alzare la voce di fronte a un bambino di dieci mesi condannato a morire per via giudiziaria?
Piero Giorgio
L’insondabile dramma umano di Charlie e della sua famiglia, come abbiamo raccontato nei giorni scorsi sul Foglio, si accompagna a una tragedia giuridica, fatta di tribunali che si spalleggiano nel promuovere la cultura della morte. Non consola sapere che non si tratta di una deviazione dal corso del diritto, così com’è interpretato oggi da alcuni corti, ma del corretto svolgimento delle sue premesse.