Foto dalla pagina Facebook Charlie Gard #charliesfight

La differenza tra diritto e carità

Giuliano Ferrara

Il padre di Eluana, i genitori di Charlie Gard e la necessità di stabilire un’area grigia senza fissare una linea d’ombra oltre la quale lo stato, la comunità, la famiglia avrebbero il dovere di rispettare il diritto di morte

Il padre di Eluana Englaro voleva che la figlia in stato vegetativo fosse soppressa a norma di legge. I genitori del piccolo Charlie non vogliono che il bambino in stato terminale venga lasciato morire dopo una sentenza di tribunale. La campagna per Charlie ha preso un aspetto corale, fino all’intervento fattivo del Vaticano. Nel caso di Eluana Englaro l’appello a portare acqua alla malata che si voleva disidratare raggiunse il sagrato del Duomo di Milano, ma non varcò la soglia della cattedrale in un’atmosfera di imbarazzo e rassegnazione. La differenza l’hanno fatta i genitori, le loro opposte volontà, opposte passioni. In casi simili, a chi ha dato una vita che si spegne, è giusto riservare generosità e pietà. Ma non dovrebbero essere loro il discrimine tra carità e norma di diritto. Il discrimine è la vita stessa o, se vogliamo, una norma morale: il cosiddetto “diritto di morire” non può opporsi per legge alla carità. C’è un limite alla mentalità secolare, ed è un limite religioso, comandamento o precetto o esortazione che si voglia, il “non ucciderai”.

 

L’accudimento passivo e operoso dei tempi di trapasso di una creatura umana non è accanimento terapeutico. È invece una forma fanatica di accanimento ideologico la fissazione codificata di una linea d’ombra oltre la quale lo stato, la comunità, la famiglia avrebbero il dovere di rispettare il diritto di morte, perfino nel caso di bambini che sono per definizione al di qua di ogni codice. Appartiene alla area grigia dell’arbitrio la decisione terapeutica finale di medici e caritatevoli parenti o amici dei malati. Nessuna decisione presa in coscienza informata può scandalizzare. Diventa arbitrio oltre la coscienza, e forzatura, la pretesa di decretare per norma e sentenza il corso delle cose. Ci sono più cose tra amore e norma, come tra cielo e terra, di quante un qualunque Orazio possa arrivare a immaginare. La cultura eutanasica di questo non tiene conto e vuole fissare diritti e norme generali, meglio se obbliganti.

  

La comunità medica ha un ruolo speciale in tutto questo, e con l’aborto lo si è visto. L’obiezione di coscienza è uno degli atti filosofici più importanti del pensiero e del mondo moderno, in particolare in materia di tutela della vita umana nascente. Obiettare al servizio militare non è la stessa cosa. La guerra non incontra la stessa sordità morale che circonda l’aborto. Nessuno definirebbe mai un diritto la guerra, un diritto di libertà, sebbene la guerra sia spesso uno strumento di autodifesa o di espansione della libertà storica. Nella questione dell’aborto si realizza invece quello stesso rovesciamento di tutti i valori che porta oggi a tutelare la vita di un piccino, se e perché i genitori sono d’accordo, e ha portato ieri all’abbandono di una donna inferma, e alla sua soppressione, senza una vera solidarietà, perché il padre – anche qui – era d’accordo, lo voleva e lo voleva per legge, come strumento di liberazione laica dell’umanità dai pregiudizi della religione o dai limiti del sacro.

  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.