Alla cattolica e gesuita Georgetown arrivano le camere no gender
Nella prestigiosa università arrivano gli spazi neutri per chi non si riconosce nelle categorie uomo-donna
Roma. Saranno pure gesuiti, ma i discorsi di Papa Francesco sul “gender sbaglio della mente umana” (marzo 2015), sulla “cosiddetta teoria del gender espressione di una frustrazione e di una rassegnazione” (ottobre 2016), sulla “utopia del neutro che rimuove la dignità umana della costituzione sessualmente differente” (ottobre 2017), evidentemente non arrivano sul tavolo degli augusti vertici della prestigiosa Georgetown University di Washington, la più antica università cattolica d’America retta da sempre dalla Compagnia di Gesù. A fine dicembre, la lieta novella comunicata via mail: dall’anno accademico 2018-2019 saranno predisposti degli spazi abitativi all’interno del campus riservati agli studenti e alle studentesse interessati a esplorare “il gender e la propria sessualità”. Uno spazio neutro, insomma, per chi non si riconosce nelle categorie uomo-donna e non vuole essere costretto a scegliere in quale alloggio sistemarsi, perché oltre al binomio uomo-donna c’è di più. Il tutto, spiegano dall’ufficio residenziale dell’Ateneo, in nome “dei nostri valori cattolici e gesuiti” che prevedono “un linguaggio, una prospettiva e un senso di inclusione votati ad approfondire il nostro senso di cura personalis”. Grace Smith, la studentessa che aveva richiesto di predisporre le stanze da letto gender e che guida il gruppo Lgbtq+ della Georgetown, esulta su Facebook e a caratteri maiuscoli scrive che trattasi di “un grande risultato per un’università gesuita”.
La decisione della direzione del campus – aggiunge Mrs Smith – “fa sì che gli studenti ora avranno accesso a uno spazio residenziale dedicato a esplorare se stessi e gli altri in relazione al gender e alla sessualità”, come se questo fosse lo scopo di un’università. “E’ brutto trovarsi in una situazione dove è considerato implicito il tuo appartenere a un determinato genere con il quale però non ti identifichi”, ha detto Aaron Warga, che si è proposto come assistente del piano abitativo appena approvato.
I richiedenti c’avevano già provato ad aprile, ma allora la risposta fu negativa: difficile conciliare la domanda con i princìpi cattolici cari pure a sant’Ignazio. Persa una battaglia, ma non la guerra, s’erano detti subito, anche perché la Georgetown aveva già provveduto – prima e unica università gesuita d’America – a istituire un centro risorse Lgbtq+ e ad allestire i bagni no gender. Così, pochi mesi dopo, quel no si è trasformato in un sì. Una svolta che però non sorprende, se è vero che già nel 2013 fu annunciato che l’Ateneo avrebbe attivato dei corsi rivolti ai giovani desiderosi di approfondire i contenuti della riforma sanitaria voluta da Barack Obama; corsi organizzati dal National Women’s Law Center, da tempo impegnato a combattere chi “minaccia il diritto della donna di decidere se abortire o meno”. All’epoca, i vertici minimizzarono, spiegando che il tutto rientrava in un “libero scambio d’idee” peculiare della vita universitaria.
Nel 2013, William Peter Blatty, già studente della Georgetown e diventato celebre a ogni latitudine per aver scritto “L’Esorcista” (fu anche produttore dell’omonimo film del 1973) scrisse una petizione al Vaticano – spedita all’arcivescovo della capitale americana, il cardinale Donald Wuerl – perché spogliasse l’ateneo dei titoli di “cattolico” e “gesuita”, visto che di entrambi, lì a Washington, c’era ormai ben poco. I firmatari furono circa duemila, tra cui molti ex studenti. La Santa Sede rispose, attraverso una lettera del segretario della congregazione per l’Educazione cattolica, mons. Angelo Zani, il quale pur ammettendo di non poter intervenire nei modi invocati da Blatty, sosteneva che le notizie segnalate costituiscono “un reclamo fondato” e che “la nostra congregazione sta considerando seriamente la questione e sta cooperando con la Compagnia di Gesù a questo riguardo”.