Alfie Evans l'italiano
Roma concede al bambino la cittadinanza e l’interruzione della ventilazione viene sospesa. Il giudice ordina di staccargli le macchine. Nuovo appello di Papa Francesco: “Ascoltate la sofferenza dei suoi genitori”
Roma. Tutto sospeso, chissà fino a quando. La procedura che avrebbe dovuto portare alla morte Alfie Evans è stata rinviata, bloccata dall’intervento del governo italiano (attraverso i ministri degli Esteri e dell’Interno, Angelino Alfano e Marco Minniti) che ha concesso la cittadinanza al piccolo. La battaglia che ormai era divenuta prettamente giudiziaria si è spostata sul piano della diplomazia almeno per qualche ora. Intorno alle 22 ora italiana, infatti, Anthony Hayden, il giudice della Corte d'Appello britannica che nei giorni scorsi, con una sentenza, aveva autorizzato i medici a porre fine alla “vita inutile” di Alfie, ha ordinato che i macchinari che tengono in vita il piccolo vengano staccati alle 22.30. I genitori di Alfie hanno presentato un ricorso urgente che difficilmente potrà essere esaminato nella notte. Difficile quindi che i medici possano procedere avviando il protocollo. A maggior ragione che ora i governi di Roma e Londra sono direttamente coinvolti nella vicenda.
Poco prima, alle 21, Papa Francesco aveva rinnovato, via Twitter, il suo appello: “Commosso per le preghiere e la vasta solidarietà in favore del piccolo Alfie Evans, rinnovo il mio appello perché venga ascoltata la sofferenza dei suoi genitori e venga esaudito il loro desiderio di tentare nuove possibilità di trattamento”.
Commosso per le preghiere e la vasta solidarietà in favore del piccolo Alfie Evans, rinnovo il mio appello perché venga ascoltata la sofferenza dei suoi genitori e venga esaudito il loro desiderio di tentare nuove possibilità di trattamento.
— Papa Francesco (@Pontifex_it) 23 aprile 2018
La giornata era iniziata con ben altre aspettative. Thomas Evans sembrava essersi arreso al muro eretto dalla giustizia britannica e affidava a Facebook i suoi pensieri: “Mi dispiace tanto Alfie”. Nel frattempo, i solerti dirigenti dell’Alder Hey Hospital di Liverpool recapitavano alla famiglia il protocollo di estubazione, la fredda descrizione passo dopo passo della procedura che avrebbe comportato la morte del bambino di ventitré mesi affetto da una patologia neurodegnerativa i cui contorni restano però misteriosi anche per i più esperti luminari della scienza medica.
L’orario deciso per la soppressione di quella che il giudice d’Appello Anthony Hayden aveva definito “una vita inutile” era stata fissata per le ore 13.00 italiane, termine poi posticipato alle 14.30. I genitori di Alfie postavano sui social video del bambino, quasi minuto per minuto. E pubblicavano anche le foto della stanza che era stata data loro per trascorrere “l’ultima notte”: nessun letto ma un materasso gettato a terra.
Intanto, in ospedale entrava Mariella Enoc, presidente del Bambino Gesù di Roma accompagnata da un anestesista: dopotutto, la scorsa settimana il Papa – che in precedenza aveva ricevuto in udienza a Santa Marta Thomas Evans grazie alla mediazione di mons. Francesco Cavina, vescovo di Carpi – le aveva chiesto di fare “tutto il possibile e l’impossibile” per portare Alfie a Roma. I medici non la facevano entrare nella stanza, dove era ammesso solamente don Gabriele Brusco, il prete italiano che – davanti all’indifferenza della chiesa di Liverpool (neanche il cappellano ospedaliero si è reso disponibile nei mesi scorsi a visitare il piccolo) – aveva somministrato per la seconda volta l’unzione degli infermi ad Alfie.
Ma alle 14.30 tutto è stato sospeso: andava chiarita una questione giuridica in merito al protocollo di estubazione. Si doveva stabilire se il rinvio rendeva necessario un nuovo intervento della Corte suprema. Un cavillo che però consentiva al governo italiano di intervenire per concedere la cittadinanza ad Alfie Evans, estrema mossa per facilitarne il trasferimento a Roma. La Farnesina trasmetteva all’avvocato della famiglia il decreto, sì da poterlo notificare ai vertici dell’ospedale inglese. “Bisogna riflettere sul fatto che non si sta solo mettendo da parte il senso umano e di compassione per dei genitori che hanno chiesto di tenere in braccio il proprio figlio, bensì che stiamo entrando in un’epoca di obbedienza a un’idea assolutista in cui ciò che conta è il profitto che ha ogni diritto sull’uomo”, dice al Foglio il cardinale Elio Sgreccia, presidente emerito della Pontificia accademia per la vita e tra i massimi bioeticisti viventi. “Oggi quando si sente parlare di Adolf Hitler vengono i brividi, giustamente. Ma non ci rendiamo conto che stiamo andando in quella direzione, verso una società che ha gli stessi princìpi. Si stabilisce se una vita è utile o no, si decide chi è degno di rispetto e chi no. Si vuole staccare il respiratore a un bambino in ossequio al principio dell’utile. E questo non lo si vuole confessare. Il mondo deve temere questa perversione. Si è succubi di un assolutismo statalista, una dittatura del pensiero che travolge tutto, e si badi bene: non si parla solo di fede, ma anche della laica libertà di due genitori sulla vita del proprio figlio”, aggiunge il cardinale.
All’esterno dell’Alder Hey Hospital si radunava una folla di manifestanti, tanto da richiedere l’intervento in forze della polizia, per evitare un’irruzione all’interno dell’ospedale. Alle sette tornava la calma, complice l’intervento diplomatico che almeno per qualche ora ha scongiurato l’epilogo più drammatico.