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Cosa non va nella registrazione del primo figlio di due mamme a Torino

Rodolfo Casadei

Il sindaco Chiara Appendino è andata decisamente al di là di quelle che sono le sue competenze. Nessun diritto in più, molti abusi possibili

Milano. Ci sono sindaci che non si accontentano di fare i sindaci, e Chiara Appendino appartiene senza ombra di dubbio a questa categoria. Apponendo la sua firma all’atto di trascrizione della nascita di Niccolò Pietro nel registro dell’anagrafe di Torino, nel quale viene dichiarato che i genitori del piccolo sono due donne – Chiara Foglietta, consigliera comunale del Pd, e la signora Micaela Ghisleni – la prima cittadina di Torino è andata decisamente al di là di quelle che sono le sue competenze. “La tenuta dei registri dello stato civile è obbligatoriamente prevista a carico del Comune: ma il sindaco è chiamato a svolgere tale funzione non in quanto capo dell’amministrazione municipale, bensì quale ufficiale del governo. Gli atti iscritti o trascritti nei registri comunali sono atti pubblici ai sensi dell’art. 2699 del codice civile, in quanto redatti da pubblico ufficiale a ciò autorizzato, quale è appunto l’ufficiale dello stato civile, e fanno fede fino a querela di falso, mentre quanto dichiarato dai dichiaranti fa fede fino a prova contraria. Questo spiga perché i registri dello stato civile, il loro contenuto, le modalità e i limiti di iscrizione e di trascrizione non dipendano dall’arbitrio del sindaco, ma da una legge dello Stato, che il sindaco ha l’obbligo di applicare”, recita un comunicato del Centro Studi Rosario Livatino, di cui è vice presidente l’ex sottosegretario agli Interni oggi giudice della Corte di Appello di Roma, Alfredo Mantovano. “Con questa decisione si aggira un altro divieto, tuttora vigente nella nostra legislazione: quello alla fecondazione eterologa da parte di coppie dello stesso sesso. Si apre uno spiraglio enorme alla maternità surrogata, vietata dalla legge italiana”, aggiunge l’altro vice presidente del Livatino, Domenico Airoma, Procuratore della Repubblica aggiunto al Tribunale di Napoli nord (per intenderci: Terra dei Fuochi, Casalesi, ecc.).

 

I vantaggi che al bambino vengono dalla registrazione con due mamme anziché con il solo genitore biologico sono minimi, spiega Airoma al Foglio: “Comunque avvenga la registrazione, i diritti personali del neonato restano gli stessi, avrà accesso a tutti i servizi. Non sono bambini fantasma, come scrive qualcuno. L’unico vantaggio per il bambino registrato con due genitori anziché con uno solo sta nel fatto che potrà vantare diritti successori anche nei confronti del genitore non biologico”. Ma sono molti di più i rischi di abusi a cui una procedura come questa apre: “Se diamo la prevalenza alle dichiarazioni sulla verità fattuale, apriamo la porta a qualunque abuso: io potrei rapire o procurarmi comunque in modo illegale un bambino all’estero e poi registrarlo in Italia semplicemente dichiarando ‘è mio figlio’. Le norme ci sono per tutelare il più debole, quelle sulla fecondazione eterologa come quelle sull’adozione. Se mi fermo all’aspetto dichiarativo, io non do più la precedenza alla tutela degli interessi del bambino, ma a quelli dell’adulto. Legittimiamo le pratiche più disparate”. Un ulteriore aspetto problematico del caso Foglietta-Ghisleni-Appendino è dato dal fatto che le due “mamme” sono semplicemente una coppia di fatto: non hanno contratto unione civile né in Italia né all’estero; in Danimarca, dove il bambino è stato concepito con fecondazione eterologa, hanno semplicemente firmato una dichiarazione congiunta nella quale si impegnano a crescerlo insieme. “In tutte le legislazioni per le adozioni si richiede la stabilità del vincolo, nell’interesse del bambino”, commenta Airoma.

 

“Queste materie delicate vanno lasciate al legislatore – conclude il giurista – Non può il sindaco o il giudice decidere al posto del legislatore. Queste forme di aggiramento delle norme sono pericolose, perché sono fatte da soggetti che non hanno legittimazione democratica. Il fatto che sia un sindaco o un giudice a decidere che un divieto normativo non vale più non è un principio compatibile con la vita democratica di un paese. Se c’è un contrasto su una materia come questa, la decisione andrebbe presa in Parlamento dopo un confronto serrato”.

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