Il Congresso di Verona è il prodotto della critica all'ordine liberale
Le “modalità” dell’evento del fine settimana rischiano di non rendere un buon contributo alla “sostanza”
Roma. In Vaticano e nell’azione internazionale della Santa Sede è ben nota la necessità di non assumere posizioni partigiane quando si difendono valori e princìpi d’importanza fondamentale. Tali princìpi, tali valori, devono porsi al di sopra del quadro politico e non essere associati o associabili a istanze di una sola parte. Sono quindi parole scelte con precisione chirurgica quelle utilizzate dal cardinale Parolin per commentare l’evento del World Congress of Families (Wcf) che si terrà a Verona nel fine settimana: “Credo che siamo d’accordo sulla sostanza”, ma con “qualche differenza sulle modalità”. “Sostanza” che solo qualche mese fa Parolin era andato a difendere di persona intervenendo all’evento che il Wcf aveva organizzato a Chisinau in Moldavia. Allo stesso modo, non appaiono pronunciate per caso, negli stessi giorni in cui infiammano le polemiche, le parole di Papa Francesco: “Nella delicata situazione del mondo odierno, la famiglia fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna assume un’importanza e una missione essenziali”.
“E’ necessario riscoprire il disegno tracciato da Dio per la famiglia, per ribadirne la grandezza e l’insostituibilità a servizio della vita e della società”. Quella della chiesa cattolica è ormai, in Europa e nel mondo occidentale, una battaglia di minoranza. Precipitato di confronto su concezioni antropologiche profondamente differenti che si è combattuto alla fine degli anni sessanta del Novecento quando alla diffusione dei princìpi dell’edonismo libertario del ’68, la chiesa provava a opporre l’enciclica Humanae vitae senza troppi risultati. Quello che conta di tale battaglia sono gli strumenti attraverso cui è combattuta: sempre più spesso quelli delle norme e delle leggi e quindi dell’utilizzazione degli apparati dello stato, sempre meno quelli della cultura. Lo sintetizzava bene Olivier Roy in un intervento dello scorso ottobre durante un convegno organizzato dalla Comunità di Sant’Egidio: “Il dibattito oppone due sistemi normativi. Un sistema basato su valori cristiani e un sistema che sostiene i limiti dell’approccio libertario del ’68, ma entrambi questi sistemi mancano di qualcosa, cioè qual è la cultura comune sulla base della quale si può ricostruire questo sistema normativo? Non c’è una risposta. E’ proprio quello che ci stiamo chiedendo oggi cos’è la cultura, cos’è la nostra cultura, cos’è la cultura europea. Non abbiamo risposte a questa domanda perché non facciamo altro che parlare di norme invece che parlare di valori”. Le “modalità” dell’evento veronese, da questo punto di vista, rischiano di non rendere un buon contributo alla “sostanza” invocata dal cardinale Parolin. Il World Congress of Families si inserisce infatti nella dinamica delle culture war globali. L’esportazione di un modello tipicamente statunitense e conservatore-protestante di confronto sociale in cui la battaglia sociale si combatte in primis sul piano delle norme e della repressione dell’apparato statale e non sul piano culturale. Questo modello d’ingaggio, tipicamente statunitense si è, del tutto casualmente, imbattuto nelle profonde trasformazioni teologiche e politiche che avvenivano in Russia e nella Chiesa ortodossa russa. Ne è nato un mix unico che sulla sua strada ha poi incontrato quello che nell’ultimo quaderno della Civiltà Cattolica è definito come “l’ordine mondiale illiberale”. L’epoca successiva al Concilio Vaticano II aveva fortemente contributo alla creazione dell’ordine mondiale liberale e in quel contesto la Chiesa aveva trovato “le modalità” di portare avanti la “sostanza” del suo contributo. Da questo punto di vista il Wcf è il prodotto del mondo nuovo, della critica alle stesse premesse dell’ordine mondiale liberale creatosi dopo il Concilio Vaticano II. Per questo motivo la Chiesa non può condividerne le “modalità”. Che spesso diventano anche “sostanza”. Del resto, oltre alle parole del cardinale Parolin, è tra le pagine delle risposte del direttore di Avvenire ai lettori che si possono evincere le difficoltà del mondo cattolico: “La famiglia è un bene grande, e pretende visioni e azioni grandi perché capaci di futuro. Personalmente, ma so di non essere il solo, mi sento di dire che di chiacchiere altisonanti, ideologiche, vendicative, ostili e inesorabilmente vuote non ne posso più”.