Perché la Germania si divide sulla diagnosi prenatale
Il dibattito sulla rimborsabilità da parte delle assicurazione sanitarie dello screening non invasivo ha abbracciato quello sull'aborto e sulle famiglie con bambini affetti da sindrome di Down
Berlino. Una volta c’erano la villocentesi e l’amniocentesi, due test invasivi utilizzati per raccogliere informazioni su eventuali malattie cromosomiche o genetiche del feto. Già dal 1975 le due procedure mediche sono coperte dalle Krankekassen, il sistema di assicurazioni che informa il sistema sanitario nazionale tedesco. Perché in Germania non esiste la mutua ma una pletora di assicurazioni pubbliche e private che coprono le spese in cui incorre il cittadino-paziente. In apparenza concorrenziale, il sistema non è però un Far West; al contrario esiste un’autorità deputata a stabilire quali servizi minimi le Krankenkassen debbano fornire ai propri assistiti, mentre restano libere di offrire prestazioni addizionali.
Quarantaquattro anni fa la legge ha dunque stabilito che villocentesi e amniocentesi siano gratuite ma solo per le gravidanze considerate “a rischio”. Quelle cioè per cui il ginecologo, appurate le condizioni generali, l’età, l’esito di gravidanze precedenti e la famigliarità con alcune malattie della sua assistita incinta ritenga opportuno prescrivere indagini aggiuntive. A quale scopo? Stabilire, appunto, se il feto sia affetto da qualche anomalia cromosomica o genetica. Starà poi alla donna decidere cosa fare. Oggi il ricorso ad amniocentesi e villocentesi è in calo, soppiantate dallo screening non invasivo prenatale (Nipt) che con un semplice prelievo di sangue della futura mamma alla decima settimana di gravidanza permette di intercettare e analizzare il DNA del nascituro.
Spaventata dal proprio passato macchiato dall’eugenetica nazista, la Germania si interroga: è giusto che le Krankenkassen si facciano carico del test? Secondo la G-BA sì. Nata nel 2004 dalla fusione di quattro distinte organizzazioni di medici, la Gemeinsamer Bundesausschuss è la Commissione unita federale che, autonomamente dal ministero della Salute, stabilisce quali servizi debbano essere riconosciuti ai pazienti e a quali condizioni. In una nota di fine marzo, la G-BA ha raccomandato la presa in carico del Nipt “in caso di gravidanze con rischi particolari; l’obiettivo – ha affermato il presidente imparziale (sic) della G-BA Josef Hecken – è quello di sostituire per quanto possibile le procedure attualmente disponibili, che comportano gravi rischi per il feto”. Con una postilla: “Non si tratta di uno screening di tutte le donne incinte”. Così Hecken, già sottosegretario Cdu alla Famiglia nel secondo governo Merkel, ha aperto il dibattito. Perché la Commissione unita federale – che decide se coprire le spese del vaccino per il morbillo oppure di una seduta di agopuntura tramite un approccio evidence-based – si pronuncerà solo ad agosto, sentendo nel frattempo il Parlamento, le chiese, il consiglio etico tedesco (Deutscher Ethikrat), le associazioni dei disabili e delle loro famiglie.
L’analisi non invasiva serve a individuare eventuali trisomie del feto e in Germania c’è chi teme che la sua diffusione possa far crescere il numero degli aborti quando il risultato del test sia positivo.
Il titolare della Salute Jens Spahn invece non ha dubbi: “Le Krankenkassen coprano le spese del Nipt”, ha detto il ministro che pure rappresenta l’ala destra della Cdu, quella più contraria alle interruzioni di gravidanza, una pratica formalmente illegale in Germania anche se tollerata e depenalizzata. Anzi, proprio perché il prelievo del sangue materno non comporta rischi per il feto a differenza degli altri due esami, molti dirigenti della Cdu si sono espressi a favore della gratuità del Nipt. Non però Armin Laschet, il cattolico premier del Nord Reno-Vestfalia: “Non credo che le casse debbano finanziare il test e credo che inviare il segnale che si possa valutare il valore di una vita in anticipo sia sbagliato”. Laschet ha però anche riconosciuto che per ogni membro del Bundestag si tratta di “una decisione molto personale, di coscienza”.
Parole che riflettono la posizione della Chiesa cattolica, contraria alla gratuità del test: il cardinale Rainer Maria Woelki ha osservato che nel 90 per cento dei casi di test positivo la gravidanza viene interrotta. Diversa la posizione del teologo Heinrich Bedford-Strohm, presidente del Consiglio della Chiesa evangelica in Germania (Ekd). I protestanti non sono contrari alla gratuità del test, ha detto Bedford-Strohm, “ma per me è fondamentale minimizzare il numero degli aborti”.
Il Bundestag ha discusso la questione in un dibattito senza voto e aperto al pubblico: in tribuna c’erano anche giovani con sindrome Down. In maniera trasversale deputati e deputate hanno auspicato che il test non invasivo non sia riservato solo alle famiglie più abbienti, ma hanno difeso allo stesso tempo il diritto dei genitori “di non sapere”. La G-BA da parte sua ci va con le molle: oltre a non essere considerato uno screening, il Nipt sarà pagato solo in casi “individuali”, secondo gli stessi criteri utilizzati per amnio e villocentesi.
A spiegare la cautela di molti non c’è solo il timore di far crescere il numero degli aborti volontari ma anche quello di poter innescare, per esempio, azioni discriminatorie nei confronti di famiglie con bambini affetti da sindrome di Down. L’entrata a regime del Nipt a carico delle Krankekassen è attesa per la seconda metà del 2020: dopo la raccomandazione attesa per il prossimo agosto, la G-BA dovrà elaborare l’informativa per le donne incinte.