In Canada si propone l'eutanasia espiantando organi da vivi
Le linee guida diffuse dall’Associazione medica canadese chiariscono che la rimozione dell’organo non può avvenire prima che il cuore abbia smesso di battere. Come si fa con i condannati a morte in Cina
Roma. Già nel 1994 si venne a sapere che la Cina utilizzava i condannati a morte per il prelievo di organi. La denuncia venne da Asia Watch nel rapporto “Rifornimenti di organi ed esecuzioni giudiziarie in Cina”. Vi si spiegava che i condannati a morte “sono diventati una fonte importante per il trapianto di organi” e che alcune esecuzioni sono fatte in modo che il prigioniero “non muoia immediatamente e quindi ci sia il tempo sufficiente per il prelievo”. Poi, vent’anni dopo, un nuovo documentario choc, “Hard to Believe” (“difficile a credersi”), gioco di parole su come la setta Falun Gong fosse stata sottoposta a queste atroci pratiche mediche prima delle condanna a morte. Lo scorso febbraio, uno studio pubblicato sulla rivista medica Bmj Open denunciava che 400 paper scientifici sul trapianto di organi avevano violato il codice etico nella collusione con la pratica cinese. “Il silenzio del mondo su questo problema barbarico deve finire”, affermava Wendy Rogers, docente di Etica clinica a Sydney, che aveva realizzato lo studio. Già nel 2005, dopo anni di dicerie e smentite, il viceministro della Sanità cinese, Huang Jiefu, aveva dichiarato all’Oms che “è vero, gli organi per i trapianti vengono in buona parte dai condannati a morte delle nostre prigioni. Questo sistema è immorale, non sostenibile e nei prossimi anni cambieremo”. Nel 2016 il Partito comunista cinese aveva annunciato che la pratica era stata abolita. Poi la clausola: i condannati a morte possono “volontariamente” chiedere di donare gli organi.
L’idea ora comincia a penetrare anche nell’establishment medico occidentale. Ne ha parlato ieri il Wall Street Journal, partendo dal fatto che l’eutanasia in Canada, da tre anni legale per i malati terminali, potrebbe avere delle “mostruose conseguenze” con le nuove linee guida mediche. “Dal 2016 a oggi – scrive ancora il WSJ – circa trenta pazienti sottoposti a eutanasia in Canada hanno donato i loro organi dopo la morte”. Le linee guida diffuse il 3 giugno scorso dall’Associazione medica canadese chiariscono che la rimozione dell’organo non può avvenire prima che il cuore abbia smesso di battere. “Ma alcuni esperti non vogliono questa restrizione”. Sul New England Journal of Medicine, due ricercatori medici canadesi e un bioeticista di Harvard hanno affermato che il limite riduce la qualità degli organi donati. “Un modello superiore, suggeriscono, potrebbe essere quello di uccidere il paziente rimuovendone gli organi. Dopo tutto, i migliori organi provengono da persone ancora vive, come quelle che donano i reni. La morte per rimozione di organi sarebbe un metodo più efficiente di prelievo di organi per pazienti da suicidio assistito”. “Kill and harvest”, hanno scritto i bioeticisti contrari, come Wesley J. Smith della National Review. “Inizialmente, le organizzazioni per la donazione di organi volevano tenersi alla larga dagli ospedali in cui i medici aiutano a morire”, ha detto James Downar, capo della divisione delle cure palliative alla Facoltà di medicina dell’Università di Ottawa e autore del nuovo documento. Poi la morte di 242 persone in attesa di un trapianto nel corso del 2017 ha aumentato la pressione a legare eutanasia e donazione di organi. Così adesso si inizia a praticare l’eutanasia non soltanto a casa, ma anche in ospedale, dove può avvenire l’espianto degli organi. Ma per chi vuole morire a casa, c’è sempre il “modello olandese”. In due casi che si sono verificati nei Paesi Bassi e che sono stati descritti in un saggio dal Canadian Medical Association Journal, i medici hanno messo i pazienti da eutanasia in sonno a casa, li hanno trasferiti all’ospedale per il cocktail letale e l’espianto degli organi, per poi riportare i loro corpi a casa quattro ore dopo. “Può essere eticamente preferibile procurarsi gli organi del paziente nello stesso modo in cui gli organi vengono prelevati da pazienti cerebralmente morti”, scrivono i tre bioeticisti che chiedono di abbattere la barriera etica. Tre anni fa, sul British Medical Journal, anche cinque ricercatori belgi e olandesi perorarono l’espianto da vivi. I cinesi lo fanno con brutalità. Noi vorremmo farlo con il “consenso”.