Lode alla madre putativa di migliaia di bambini
E’ morta Paola Bonzi, esempio laico e cristiano di dedizione personale e di gruppo alla causa antiabortista. Si occupava delle donne incinte. Milano dovrebbe farle un monumento
Insalutata ospite di questo paese, di questa cultura, di questa strana civilizzazione, se n’è andata, è morta Paola Bonzi, cieca veggente, amorevole madre putativa di decine di migliaia di bambini, esempio laico e cristiano, cristiano perché laico e laico perché cristiano, di dedizione personale e di gruppo alla causa santa antiabortista. Paola si dava da fare al centro di aiuto alla vita della Mangiagalli di Milano. Non era armata della teologia morale cattolica, le bastava la carità, cioè l’amore. Non era sopraffatta dalle teorie di genere, quanto al genere si occupava delle donne. Delle donne incinte. Che a volte per varie ragioni vogliono abortire le creature create, a volte possono rinunciarvi se aiutate con discrezione, con tenacia, con le parole giuste e i fatti. Anche la teoria ora prevalente dell’aborto come diritto, come privacy, come libertà le era estranea. Non avrebbe alzato un dito contro una donna che vuole interrompere la gravidanza, contro un medico, contro un maschio (ci sono anche e sopra tutto loro) che non assume responsabilità e lascia sola la femmina ingravidata, come fanno certi animali della giungla e perfino i pet. Si sarebbe messa davanti al carro armato della legge, se la legge fosse stata punitiva, precisamente come lo studente della Tian An Men tanti anni fa.
Però detestava l’aborto come complemento facile di una cultura sociale di espulsione e rimozione della maternità e della natalità. Considerava il concepito come un fatto, non come un grumo inerte di materia. E pensava che la concezione era un atto d’amore a due comprese le conseguenze dell’amore. Dunque si dava da fare. Parlava, riceveva, organizzava, coordinava, cercava le soluzioni e avrebbe volentieri fatto la parlamentare eletta nella lista “Aborto? No, grazie” se un numero superiore a centotrentacinquemila italiani l’avesse votata, contro tutto e contro tutti, contro Berlusconi e contro i cattolici democratici, contro i laici nella loro furfante indifferenza etica e nel loro bla bla ideologico. Con trenta parlamentari al seguito sarebbe stata un magnifico ministro della Salute, avrebbe messo le cose e le persone nella loro giusta luce, avviando una svolta in occidente nel senso esattamente opposto a come è andata la deriva dell’aborto libero: avrebbe promosso l’interruzione della gravidanza come una necessità terapeutica, in certi casi, e in altri casi come una inevitabilità psichica e morale, ma non come un atto di libertà sordamente applaudito e benedetto da istituzioni antinataliste che hanno fatto strame di una legge sulla tutela sociale della maternità, la storia più ipocrita della legislazione italiana in parallelo con il resto d’Europa e del mondo.
Le femministe radicali l’avrebbero combattuta, ma Paola non era tipo da Congresso sulla famiglia di Verona. Era una femminista vera, a suo modo, e un leader nella battaglia contro le miserie e contro la povertà generatrice di scarto nel mondo contemporaneo. La chiesa ambrosiana l’ha aiutata, le istituzioni locali hanno fatto qualcosa, qualcosa abbiamo fatto noi per sostenerla dopo la disfatta politica. I soldi che avevamo raccolto e non spesi in una campagna spartana che volevamo vincente solo in nome della ragione furono stanziati per il centro della Mangiagalli, e lei ne era grata in modo entusiastico. Pensavamo che Paola sarebbe sopravvissuta, non solo nella sua dedizione ostinata, ma anche come simbolo morale di una sconfitta politica. Pensavamo che prima o poi sarebbe stata ricevuta al Quirinale l’otto marzo, eppure Napolitano e Mattarella avevano altro da fare, da invitare, da ricevere. Ha dunque avuto le sue difficoltà, si è battuta come una leonessa per continuare a far nascere bambini in un paese in cui ne nascono tanto pochi, ha reagito all’indifferenza etica con il coinvolgimento personale, il circolo degli amici, i libri scritti, le piccole conferenze, la proiezione di un’anima bella verso le altre anime, le altre persone, ma con una concretezza e uno spirito di servizio estranei alla ciarliera cultura della differenza, del dialogo con l’altro, del riconoscimento.
Paola Bonzi aveva un naturale talento umanitario, senza esibizionismi, senza glamour, senza fronzoli. Non è mai stata sfiorata dall’accusa di forzare le cose, le parole, i gesti, i significati: il suo spirito missionario laico e cristiano era il contrario del gesuitismo dell’apertura al mondo com’è, e della inculturazione, era basato su criteri solidi di vita e di destino e procedeva imperterrito comunque andassero le cose. Bisognerebbe farle un monumento a Milano, ma sarà per un’altra volta, eppure la memoria e la tradizione di questo eccezionale esperimento di serietà di passione resteranno.