Il Papa ricorda che non basta una sentenza per rendere accettabile il suicidio assistito
Nel suo messaggio per la Giornata mondiale del malato il Pontefice ribadisce che compito degli operatori sanitari è non cedere “ad atti di natura eutanasica o soppressione della vita, nemmeno quando lo stato della malattia è irreversibile”
Sono trascorsi quasi due mesi dal deposito della sentenza con cui la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 580 c.p. che punisce chi viene accusato del reato di aiuto al suicidio. Alla vigilia di Natale, sulla scia della decisione della Consulta, Marco Cappato era stato assolto nel processo che lo vedeva imputato per aver accompagnato in Svizzera, a morire, Fabiano “dj Fabo” Antoniani.
Molto si è detto e scritto, anche sulla sentenza della Consulta che, pur ribadendo che “l’incriminazione dell’aiuto al suicidio non è, di per sé, in contrasto con la Costituzione ma è giustificata da esigenze di tutela del diritto alla vita, specie delle persone più deboli e vulnerabili”, ha individuato un'area in cui “l’incriminazione non è conforme” alla Carta. “Si tratta dei casi - aveva spiegato la Corte nel suo comunicato - nei quali l’aiuto riguarda una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale (quali, ad esempio, l’idratazione e l’alimentazione artificiale) e affetta da una patologia irreversibile, fonte di intollerabili sofferenze fisiche o psicologiche, ma che resta pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli”.
È notevole quindi che oggi, nel suo messaggio inviato in occasione della XXVIII Giornata mondiale del malato, Papa Francesco abbia ripreso in maniera precisa alcune delle parole utilizzate dai giudici della Consulta. Nella lettera il Pontefice parla anzitutto del valore del “curare” e della necessità di “personalizzare l'approccio al malato, aggiungendo al curare il prendersi cura, per una guarigione umana integrale”.
E si rivolge quindi agli operatori sanitari: “Ogni intervento diagnostico, preventivo, terapeutico, di ricerca, cura e riabilitazione è rivolto alla persona malata, dove il sostantivo 'persona', viene sempre prima dell’aggettivo 'malata'. Pertanto, il vostro agire sia costantemente proteso alla dignità e alla vita della persona, senza alcun cedimento ad atti di natura eutanasica, di suicidio assistito o soppressione della vita, nemmeno quando lo stato della malattia è irreversibile”.
“Ricordiamo che la vita è sacra e appartiene a Dio - prosegue - pertanto è inviolabile e indisponibile. La vita va accolta, tutelata, rispettata e servita dal suo nascere al suo morire: lo richiedono contemporaneamente sia la ragione sia la fede in Dio autore della vita. In certi casi, l’obiezione di coscienza è per voi la scelta necessaria per rimanere coerenti a questo 'sì' alla vita e alla persona. In ogni caso, la vostra professionalità, animata dalla carità cristiana, sarà il migliore servizio al vero diritto umano, quello alla vita. Quando non potrete guarire, potrete sempre curare con gesti e procedure che diano ristoro e sollievo al malato”.
Non è la prima volta che Francesco interviene contro possibili derive eutanasiche. A fine novembre, proprio pochi giorni il deposito della sentenza della Consulta, si era nettamente schierato contro le “sentenze che in tema di diritto alla vita vengono talora pronunciate nelle aule di giustizia, in Italia e in tanti ordinamenti democratici”. Stavolta il riferimento al “suicidio assistito” e alla “malattia irreversibile” appare ancora di più come una puntuale risposto a quanto stabilito dai giudici. Risposta che di sicuro non piacerà a tutti quelli che sono abituati a utilizzare le parole del Papa a proprio uso e consumo.