“Se non ora quando” critica il ddl Zan: “Il gender cancella le donne”
La nuova legge contro l’omofobia e le discriminazione spaventa anche le femministe. E c’è già un appello per cacciare l’ArciLesbica “transofoba”
Roma. “Ecco la legge contro l’omofobia che spaventa i vescovi”, ha titolato l’Espresso. Sarebbe stato seducente e manicheo. I diritti, l’illuminismo e la libertà tutti da una parte; la regressione, l’oscurantismo e la costrizione tutte dall’altra. Troppo facile. Il ddl Zan sta spaventando anche tante femministe. Con una lettera ai parlamentari e al deputato del Pd relatore della nuova legge contro l’omofobia e le discriminazione, sono le femministe di “Se non ora quando” a prendere posizione contro il gender contenuto nella legge. “Gentili onorevoli, ci rivolgiamo a voi firmatarie/i del ddl Zan perché riteniamo necessario informarvi sui motivi della nostra forte preoccupazione per una proposta legislativa contro l’omotransfobia che estende i crimini d’odio anche alla cosiddetta ‘identità di genere’. Con questa espressione si sostituisce l’identità basata sul sesso con un’identità basata sul genere dichiarato. Attraverso ‘l’identità di genere’ la realtà dei corpi – in particolare quella dei corpi femminili – viene dissolta”.
Ci sono le firme di Cristina Comencini e Donatina Persichetti, presidente della Consulta femminile della Regione Lazio, ma anche di Licia Conte, che ha già rivolto un appello al segretario della Cgil Maurizio Landini contro l’utero in affitto: “Come possiamo fare questo a un bambino! Proprio tu sai meglio di chiunque altro in Italia quello che gli abbiamo fatto: lo abbiamo reso merce, prodotto come una merce con una sorta di catena di montaggio dei pezzi”. E quella dell’accademica Francesca Izzo, che due anni fa lasciò il Pd proprio in polemica sull’utero in affitto: “La campagna per l’abolizione universale dell’utero in affitto significa salvaguardare un principio fondativo della nostra comune umanità”.
Nell’appello di “Se non ora quando” si legge che l’apprensione per il ddl Zan è “il risultato di specifici, concreti e diffusi episodi, avvenuti all’estero e in Italia nei quali si rivela la carica di intolleranza e discriminazione contenuta nella formula della ‘identità di genere’ nei confronti delle donne”. Si citano casi importanti. Come quello della scrittrice inglese J.K. Rowling, che “si è vista rovesciare addosso una valanga di accuse di omofobia, sessismo, razzismo, transfobia” per avere detto che il sesso è reale. Poi il caso di Sylviane Agacinski, che si è vista annullare da parte delle autorità accademiche la conferenza sull’“essere umano nell’epoca della sua riproducibilità tecnica” che avrebbe dovuto tenere all’università di Bordeaux. “La ragione? Le violente minacce e intimidazioni da parte della comunità universitaria Lgbt alla notissima filosofa accusata di essere reazionaria, omofoba e transfoba, perché contraria alla maternità surrogata. Rifiutarsi di considerare una conquista civile la compravendita di donne e bambini viene considerato un atto di discriminazione e di illegittima difesa di un privilegio eterosessuale”. Episodi, si legge, “che rendono evidente il rischio di ‘criminalizzazione’ delle femministe e di coloro che rivendicano la differenza di sesso poiché, secondo la logica espressa nel ddl Zan, sostenere che il soggetto del femminismo sono le donne sarebbe una manifestazione di transfobia e come tale sanzionabile”. Detto fatto. C’è già l’appello di alcuni circoli Lgbt per espellere Arcilesbica dall’Arci, rea di “posizioni transfobiche e trans-escludenti”.
Introdurre nel diritto l’espulsione dal consesso civile per motivi culturali (già accompagnata da numerosi appelli all’ostracismo), dare patenti di clandestinità a certe idee per far avanzare nuovi diritti, non è soltanto il contrario del liberalismo. Il suo impianto ideologico è anche percepito, come ha detto Agacinski, come “una delle principali minacce alle donne”.