Il “Rinascimento” che se ne sbatte
In Francia si propone una scrematura della società per anzianità e malattia. L’Italia per ora resiste ai finti illuministi che teorizzano un diritto legale alla morte. Elogio del nostro ultimo residuo umanistico
Quasi incredibile, ma è così. L’Assemblea nazionale, in Francia, discute oggi una legge per assicurare il diritto alla morte dei vecchi o dei malati terminali in preda a sofferenza. Oggi. E tutti abbiamo saputo che la grande scrematura dei vecchi, nella stagione pandemica, è divenuta come previsto una realtà, basta esaminare il macabro “sollievo” che ne deriva ai bilanci degli enti di previdenza. Al tempo stesso, ci gloriamo di una battaglia per la vita, preminentemente dei vecchi, che ci ha costretti a immensi sacrifici in nome anche e sopra tutto della loro salute, consideriamo l’ostinazione contro un virus che colpisce la vita dei vecchi in larghissima misura come una conquista di civiltà, una prova di compassione, una misura di razionale equilibrio di società aperte, pulsanti, proiettate verso il futuro ma preoccupate di onorare passato e memoria nelle generazioni.
Noti economisti e socio-antropologi come Jacques Attali e Alain Minc, secondo quanto denunciava due giorni fa sul Figaro Michel Houellebecq, si erano posti il problema della scrematura per anzianità e malattia (sinonimi quasi sempre) dell’umanità vivente, e lo avevano risolto mettendo la compassione e il rispetto dietro al criterio dello sviluppo e della vitalità sociale generale, e non per cattiveria, semmai per malinteso senso scientifico del significato di società. Abbiamo respinto con perdite, molte perdite limitate da un grande slancio collettivo, questa concezione cosiddetta libertaria e utilitaristica della vita e della morte in relazione al tempo. Abbiamo stabilito nei fatti che la morte non è né un diritto né un dovere sociale, oltre una certa età in particolare, è un’occorrenza universale che va alleviata quando possibile (ed è quasi sempre possibile) nella zona grigia tra le cure palliative e la rinuncia all’accanimento, il lasciar andare come disdetta e sconfitta. Ma come scritto da un innamorato cinico, e grande aforista, su un muro di Roma a contrasto di una delusione: “La sconfitta non esiste nel cuore di chi se ne sbatte il cazzo”.
E c’è chi di tutte queste preoccupazioni, dal giuramento di Ippocrate con il suo divieto di consegnare al veleno e dare la morte anche a chi lo chieda, fino ai mille struggenti argomenti contrari alla definizione di un diritto legale alla morte, se ne sbatte appunto il cazzo. La legge francese parrebbe destinata a non essere votata, per adesso, e dunque a non passare. L’imbarazzo etico è grandissimo, anche per il momento, per la coincidenza tra l’orrenda morte virale e solitaria di vecchi e fragilissimi e il diritto alla morte teorizzato dai falsi illuministi che oscurano il cielo della dignità. C’è una “facoltà”, nel lasciarsi andare e nel lasciare andare, che vince sulla definizione belluina di un “diritto” sociale e di stato, legale, alla rinuncia a vivere. La facoltà è un atto di libertà e di compassione, il diritto legale è la mortificazione di un antico precetto della civiltà umana da oriente a occidente. Belgio, Olanda e Lussemburgo hanno realizzato speditamente quel diritto, e gli eutanasisti francesi si appellano al loro esempio. C’è per adesso, senza illusione, anche l’esempio dell’Italia, dove il diritto giurisprudenziale ha premiato battaglie ed esperienze-limite del militantismo libertario, ma al crocevia di una legge di stato sulla morte non ci siamo ancora troppo avvicinati. Il Financial Times ci loda per l’avanzamento di protezioni e diritti in favore della gig-economy, dei titolari di “lavoretti”; abbiamo abolito la censura; autorizzate le unioni civili; si discuterà di una legge per limitare i danni delle pratiche omofobe salvaguardando la libertà d’opinione sull’omosessualità: con tutto questo parlare e straparlare di nuovo Rinascimento, tutto sommato teniamoci l’eredità serpeggiante, anche nelle nostre rinunce a legiferare su tutto, del nostro piccolo residuo umanistico.