Lancet vuole proteggere le "donne senza vagina"
Ecco che cosa succede quando il pol. corr. sposa il sessismo e il progressismo becero
L’articolo racconta di una mostra sulla storia delle mestruazioni al Vagina Museum di Londra. L’argomento è interessante e inedito: le mestruazioni che scandiscono l’esistenza delle donne una volta al mese per almeno trent’anni della vita sono ancora argomento disdicevole, tabù, vergogna da nascondere, segnale di debolezza o almeno di assoluta inadeguatezza del sesso femminile. Bene che se ne parli, bene che se ne faccia una mostra, benissimo che Lancet, bibbia del mondo medico-scientifico, ne faccia la copertina. Poi leggiamo la copertina e sussultiamo: “Storicamente l’anatomia e la fisiologia dei corpi con vagine sono state trascurate”. Corpi con vagine. Le donne sono definite in quanto vagine? Nel 2021? Da Lancet? La misoginia, il sessismo, dunque, tornano inconsciamente e si insinuano in un titolo scientifico, trionfano sulle intenzioni progressiste della rivista? Hanno la meglio sulle aspirazioni di una società moderna e, pertanto, paritaria e inclusiva? Così sembra.
Simone de Beauvoir si starà rivoltando nella tomba, Virginia Woolf ha scritto invano, viene da pensare. Altro che donne che hanno solo bisogno di una stanza tutta per sé per esprimere la ricchezza della mente e dell’anima! E tutte quelle discussioni, lotte, manifestazioni, documenti, riunioni poesie, romanzi, aspirazioni, sogni: non siamo oggetti sessuali, non siamo vagine, alcove del piacere maschile, nidi della prole, non siamo le fattrici della specie, femmine dell’uomo. Siamo cultura, intelligenza storia. Invece. Punto e a capo?
No, non si è tornati indietro. Sarebbe troppo semplice. Per ritornare al punto di partenza – cioè alla donna come “corpo con vagina” – si è fatto un altro percorso, più lungo e meno conosciuto. Si è usato un discorso di accettazione sociale delle diversità, quindi dell’omosessuale, del transgender. Discorso sacrosanto. Lgbt è diventato l’acronimo simbolo della necessità dell’inclusione del “diverso”, che non è mai tale – e finalmente ci siamo arrivati – perché siamo tutti differenti l’uno dall’altro. Differenti corpi, differenti menti, differenti sessualità. E dobbiamo colmare l’ingiustizia, la discriminazione che ha colpito chi non si sentiva e non voleva essere uguale. Ma come colmare la differenza dei corpi? Come intervenire su una biologia testarda? Non bastava porre limiti culturali, definire nuovi orizzonti, cercare e scavare nelle contraddizioni, farle esplodere, riaggiustare il percorso della storia e andare avanti: i due sessi, in una perenne lotta e in una perenne ricerca di armonia.
No. La strada ha deviato. Con una determinazione degna delle battaglie totalitariste di un triste passato proprio in nome dell’inclusione si è richiesta l’eliminazione di ogni differenza e della più grande delle differenze, quella fra uomo e donna. Le donne sono definite “corpi con vagina” non per indicare uno stato di inferiorità ma per distinguerle “dalle donne senza vagina”, cioè dagli uomini che, non appartenendo biologicamente al sesso femminile, ma desiderandolo (o avendo intrapreso il cammino per raggiungere lo scopo) donne lo sono già. Perché desiderare la vagina è importante come averla, anzi è più importante, perché la volontà supera la biologia, l’idea è più importante del corpo, il concetto ha la meglio sulla vile materia. Ed ecco che il vecchio sessismo si incontra con il politicamente corretto, col progressismo banale, con la modernità senza storia.
L’incontro avviene ancora una volta sul corpo delle donne. L’intenzione comune è eliminare il femminile. Il primo in nome della superiorità maschile, il secondo – ed è paradossale – in nome dell’inclusione. Una strana inedita alleanza. Per un’ironia della storia (che è davvero sempre più ironica) la prima uscita pubblica della nuova alleanza appare su una rivista baluardo del mondo scientifico.