Un’immagine dal film “Matrix” del 1999

il mondo nuovo

Così la fantascienza reagì alla sentenza Roe v Wade

Giulio Meotti

Da Kurt Vonnegut e i regali a chi abortisce fino alle “pre-persone” di Philip K. Dick.

"Walter stava giocando a nascondino quando vide il furgone bianco al di là della macchia di cipressi, e capì subito cos’era. Pensò: ‘E’ il furgone bianco dell’aborto. E’ venuto a prendere qualche bambino per un aborto post-partum. E forse’, pensò, ‘l’hanno chiamato i miei genitori. Per me’”. E’ l’inizio del racconto “The Pre-Persons” (Le pre-persone), scritto un anno dopo la sentenza Roe v Wade che trasformò l’aborto in un diritto costituzionale negli Stati Uniti. Non venne scritto da un fanatico pro life, ma da Philip K. Dick, il grande scrittore di fantascienza di “Blade Runner”, “Total Recall”, “Minority Report” e altri classici. Quel raccontino avrebbe messo non poco in imbarazzo i suoi cultori, al punto che Vittorio Curtoni, che per Mondadori tradurrà negli anni Novanta  i racconti di Dick nei quattro volumi delle “Presenze invisibili”, delle “pre-persone” non fa menzione.
  

Dick narra di un futuro prossimo, negli Stati Uniti, in cui un individuo diventa “persona” solo quando è in grado di risolvere problemi di matematica; fino a quel momento può essere abortito post partum. “L’errore principale dei sostenitori dell’aborto, fin dall’inizio, era nella linea arbitraria che tracciavano”, scriverà Dick. “Un embrione non ha diritti costituzionali, e può essere legalmente ucciso da un medico. Però il feto era stato considerato ‘persona giuridica’, con i suoi diritti, almeno per un certo periodo. Poi la follia pre aborto aveva deciso che anche un feto di sette mesi non era umano e poteva essere ucciso legalmente da un medico iscritto all’albo. E un giorno, anche il bambino appena nato… E’ come un vegetale, non sa mettere a fuoco, non capisce niente, non parla: questi erano gli argomenti del partito abortista in tribunale; e avevano vinto, sostenendo che un bambino appena nato era solo un feto espulso accidentalmente o naturalmente dall’utero. Ma anche allora, dove bisognava tracciare la linea di demarcazione? Quando il bambino faceva il suo primo sorriso? Quando diceva la prima parola, o cercava per la prima volta di prendere un giocattolo che gli piaceva? La linea di demarcazione legale era stata spinta sempre più avanti, inesorabilmente. Fino a che si era arrivati alla definizione più selvaggia e arbitraria di tutte: la capacità di risolvere problemi matematici superiori. (…) Era un arbitrio. E neppure un arbitrio teologico, ma solo legale. La Chiesa aveva affermato da molto tempo, fin dall’inizio, che anche lo zigote, e l’embrione che ne seguiva, era una vita sacra come quella che cammina sulla terra. Si era accorta di definizioni arbitrarie come: ‘A questo punto l’anima entra nel corpo’, oppure, in termini moderni: ‘Ora è una persona, avente diritto alla piena protezione della legge come chiunque altro’”. Dick commenterà, in tono mite: “Mi spiace molto di avere offeso chi non è d’accordo con me sull’aborto volontario. Ho ricevuto anche lettere anonime colme d’odio, alcune non da singoli individui ma da organizzazioni favorevoli all’aborto volontario”.

  

Conclusione di Dick: “Non ho niente da rimproverarmi. Le mie posizioni sono quelle che sono: ‘Hier stek’Ich; Ich kann nicht anders’, come dovrebbe aver detto Martin Lutero” (qui sto, e altro non posso fare).
  

Una delle scrittrici distopiche più famose al mondo ha avvertito che il suo lavoro di fantasia sta rapidamente diventando realtà dopo che la Corte suprema la scorsa settimana ha demolito la legge federale che proteggeva l’aborto come diritto alla privacy. Margaret Atwood ha scritto il romanzo di fantascienza “The Handmaid’s Tale” nel 1985 e nello stato di Gilead l’unico scopo della vita delle donne è riprodursi senza voce in capitolo sui propri corpi. Ma negli anni in cui l’aborto si impose nella scena americana, i padri della letteratura distopica e fantascientifica nei propri romanzi riversarono tutta la loro paura per il controllo della popolazione attraverso l’aborto. Nel 2009 fu il giudice della Corte Suprema Ruth Bader Ginsburg a spiegare che quella paura era stata anche all’origine della sentenza Roe: “Avevo pensato che al momento della Roe c’era preoccupazione per la crescita della popolazione e in particolare per la crescita della popolazione di cui non volevamo averne troppa”. E leggendo il saggio sulla rivista Journal of Medical Ethics di due ricercatori italiani di bioetica presso le accademie australiane, Alberto Giubilini e Francesca Minerva, dal titolo “L’aborto post natale: perché il bambino deve vivere?” (uno dei documenti di bioetica più discussi degli ultimi anni), si capisce che fu Dick e non Atwood ad avvicinarsi di più alla realtà. Senza considerare il saggio “Discussing Infanticide”, in cui Peter Singer, il padre di questa bioetica utilitarista, scrive: “Il mero fatto di esistere come essere umano vivo e innocente non è sufficiente per avere un diritto alla vita”. E il pediatra olandese che ha fatto notizia per aver eseguito le prime eutanasie sui neonati nei Paesi Bassi, Eduard Verhagen, nel saggio “The Groningen Protocol for newborn euthanasia; which way did the slippery slope tilt?”, pubblicato dal Journal of Medical Ethics, si domanda: “Perché l’eutanasia non dovrebbe essere permessa come alternativa all’aborto? Che differenza morale c’è?”. Dick aveva capito, dopo Roe, che le differenze morali sarebbero scomparse.
 

  

Nel romanzo “The Crack in Space”, Dick tornerà sull’aborto. Nel racconto futuristico di Dick, il mondo è massicciamente sovrappopolato e i centri per l’aborto sono ampiamente disponibili nell’elenco telefonico. Ai poveri vengono sottratti gli aiuti del governo a meno che non abortiscano. Myra Sands, l’abortista del romanzo, è allegra quando una coppia entra nel suo ufficio: “E’ una routine. Possiamo organizzarlo entro mezzogiorno di oggi e farlo entro le sei di stasera. In una qualsiasi delle numerose cliniche governative gratuite per l’aborto qui nella zona”.
 

“Qual è stata la storia più sporca che abbia mai scritto?”, si è chiesto Kurt Vonnegut in “Palm Sunday”, il suo collage autobiografico del 1981. “Sicuramente ‘The Big Space Fuck’, la prima storia di letteratura ad avere ‘fuck’ nel titolo”. “Nel 1977 negli Stati Uniti d’America era diventato possibile per un giovane citare in giudizio i suoi genitori per il modo in cui era stato cresciuto”, recita l’incipit. “Potrebbe portarli in tribunale e farli pagare e persino scontare la prigione per gravi errori che hanno commesso quando era solo un ragazzino indifeso. Questo non era solo uno sforzo per ottenere giustizia, ma anche per scoraggiare la riproduzione, poiché non c’era più niente da mangiare. Gli aborti erano gratuiti. In effetti, ogni donna che si offriva volontaria per un aborto poteva scegliere tra una bilancia da bagno o una lampada da tavolo”.
 

Kurt Vonnegut esaminerà la paura della sovrappopolazione in altri romanzi e racconti dimenticati. Come “Welcome to the Monkey House”, dove una società tenta di controllare la sovrappopolazione con una pillola per maschi e femmine che rende le persone insensibili dalla vita in giù. Il controllo delle nascite è descritto così: “Tutto quello che facevano le pillole era togliere ogni briciolo di piacere dal sesso. La pillola ha impedito alle persone di provare piacere dal sesso, il che ha impedito l’opportunità di concepire e la sovrappopolazione”.
 

Nel romanzo “2BR02B”, il “to be or not to be” di William Shakespeare, Vonnegut si spinse oltre. Quello fu anche l’anno in cui Isaac Asimov pubblicò “The genetic code”, in cui anche questo grande scrittore di fantascienza spiegava che “la vita inizia con una singola cellula e vale anche per gli esseri umani”. Figura di culto della “contro cultura” degli anni Settanta, Vonnegut avrebbe firmato alcuni dei maggiori capolavori della fantascienza, da “Mattatoio n. 5” a “Madre notte” fino a “Ghiaccio nove”. “Tutto era magnifico”, recita l’incipit del racconto di Vonnegut. Racconta un mondo che deve risolvere il problema dell’“equilibrio demografico”. Una società in cui l’invecchiamento è stato curato e il controllo della popolazione viene utilizzato per limitare la popolazione degli Stati Uniti a quaranta milioni attraverso una combinazione di aborto post-nascita e suicidio assistito dal governo – in breve, affinché qualcuno possa nascere, qualcuno deve prima offrirsi volontario per morire. Vonnegut aveva ripreso il saggio satirico di Jonathan Swift del 1729 “A Modest Proposal”, dove raccomandava l’infanticidio agli irlandesi per frenare la  sovrappopolazione.
 

Ma torniamo al romanzo di Vonnegut. Una mattina all’ospedale Lying di Chicago arriva un uomo, Edward K. Wehling. La moglie è in ospedale, pronta a dare alla luce tre bambini. L’ospedale è diretto da Benjamin Hitz, capo del reparto di ostetricia e ginecologia. “La cura per la sovrappopolazione è stata trovata”, scrive Vonnegut. Uomini e donne in uniforme viola strappano le erbacce nei giardini dell’ospedale, tagliano le piante vecchie e malate. “Mai, mai, mai, nemmeno nell’Olanda medioevale o nel vecchio Giappone c’è mai stato giardino più formale, meglio curato. Ogni pianta ha avuto tutto il terriccio, luce, acqua, aria e nutrimento che le serve”. Lo hanno ribattezzato “Il giardino felice della vita”. Molti volti sulle pareti devono ancora essere dipinti. Saranno riempiti dai tratti degli uomini e delle donne celebri che verranno a morire in quell’ospedale, dopo aver fatto richiesta al “Federal Bureau of Termination”. Per ottenerla si deve comporre un numero di telefono: “2 B R 0 2 B”. Da lì si viene portati alla “camera a gas comunale”. O come viene chiamata più algidamente, “studio per il suicidio etico”. Nel frattempo Edward K. Wehling scopre che la moglie aspetta tre gemelli. La legge in vigore vuole che per ogni bambino che nasce si debba trovare un “volontario” che si suicida, altrimenti il nuovo nato verrà sottoposto all’“aborto post-partum”. Tre gemelli richiedono tre volontari. “Mr. Wehling”, esclama il dottor Hitz.

 

“Presente”, risponde l’uomo in sala d’attesa. “Mi hanno appena telefonato che i suoi tre figli sono appena nati. Stanno tutti bene, come la madre”. “Hurrà”, disse Wehling, con una voce un po’ spenta. “Non sembra molto felice”, dice il medico. “Quale uomo al posto mio lo sarebbe? Tutto quello che devo fare è decidere chi della tripletta vivrà, poi devo spedire al terminale la mia nonna materna e tornare qui con una ricevuta”. Il dottore si adira con l’uomo. “Non crede nel controllo della popolazione, Mr. Wehling? Vuole tornare ai vecchi giorni in cui la popolazione della terra era venti miliardi?”. “Voglio quei bambini, li voglio tutti e tre”, ribatte Wehling. “Certo, è umano”, risponde il dottore. “Ma non voglio che mia nonna muoia”. Dice il dottor Hitz: “Questo bambino vivrà in un pianeta felice, pulito e ricco grazie al controllo della popolazione”. Il sorriso sul volto del medico scompare non appena Wehling tira fuori una pistola. Spara a Leora Duncan, una infermiera, e al dottor Hitz. “Ora c’è posto per due”, dice il padre. Poi punta l’arma su se stesso e fa fuoco. Adesso c’era posto per tutti e tre i bambini senza dover spedire un altro vecchio al crematorio.

 
Un anziano vede l’arma, è tentato dal prenderla e uccidersi. Ma poi si dirige verso il telefono e compone il numero “2 B R 0 2 B”. Risponde una voce calda dall’altro lato della cornetta: “Federal Bureau of Termination”. Il vecchio: “Come posso prendere un appuntamento?”. L’operatore dell’eutanasia ringrazia dopo avergli fissato un incontro per il tardo pomeriggio: “La sua città la ringrazia, il suo paese la ringrazia, il suo pianeta la ringrazia, ma i ringraziamenti più profondi arrivano dalle generazioni future”.

 
In “That Only a Mother” della scrittrice americana Judith Merril, la storia è ambientata in un futuro non troppo lontano in cui ci sono inquietanti racconti di infanticidio da parte dei padri di bambini disabili. Non era meno allarmato dall’aborto Frank Herbert, il creatore della celebre saga di “Dune”, che nel romanzo “Destination Void” immagina esperimenti sui feti dei bambini “difettosi” e per questo abortiti. “Organic Mental Core, pensò Timberlake, e sentì il pieno ritorno dei suoi sentimenti di colpa e di dolore. Non cervello umano, oh no. Un nucleo mentale organico. Meglio ancora, un OMC. L’eufemismo rende più facile dimenticare che il nucleo una volta era un cervello umano in un ‘mostro bambino’. Prendiamo solo casi terminali poiché ciò rende meno discutibile la moralità dell’atto”. Cosa succede alla società quando smettiamo di pensare a ogni vita umana come unica e preziosa? Cosa succede quando le persone diventano merci? 
Un anno dopo la sentenza Roe, Philip Dick con queste parole mise fine al dibattito: “Guardate a cosa si è arrivati. Se un bambino non ancora nato può essere ucciso senza processo, perché non fare lo stesso con un bambino già nato?”. Per questo in America lo avrebbero chiamato “aborto a nascita parziale”: perché legalmente il bambino deve rimanere con la testa all’interno del corpo della madre, o sarebbe omicidio. Ma moralmente? Non c’è sentenza in punta di diritto che possa rispondere a questa domanda.

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.