L'APOCALISSE DEL GENDER
Occhio: siamo arrivati al limite dei diritti soggettivi
Trasformare la gestazione per altri e la scelta del gender in diritto assoluto della persona non sarà facile. Anche per il pensiero femminista. Un’indagine. Oltre i Pride
Prendere una pillola anticoncezionale, divorziare, abortire, sposarsi tra sessualmente eguali sono atti obiettivamente controversi, che hanno un’enorme influenza su individuo famiglia società, ma ormai lessicalizzati come diritti, diritti assoluti della persona. Dopo decenni, e lo spartiacque è l’Humanae vitae (1968) di un Papa che smise di scrivere encicliche dopo il rigetto della sua condanna intransigente del nuovo modo di concepire il sesso e l’amore, è quasi una follia, un’incomprensibile impuntatura, dichiararsi contrari a quei diritti soggettivi cosiddetti. Sulla pratica di ottenere con mezzi medici e genetici una creatura umana attraverso l’uso di un corpo terzo rispetto ai contraenti del patto genitoriale, invece, si sente una resistenza più forte. E al centro di questa resistenza o risentita riluttanza non c’è il tradizionalismo ma il femminismo, un movimento figlio della modernità e della postmodernità, un movimento che fu in prima linea nel rivendicare i diritti assoluti in ambito sessuale e riproduttivo ora generalizzati e incorporati nei costumi e nella vita civile. Le polemiche in materia sui patrocini dei pride farebbero pensare alla solita storia del conflitto tra illuministi e oscurantisti, sinistra e destra ideologiche, ma non è così.
Il cuore della faccenda è che una funzione biologica femminile decisiva, la capacità di gestazione e generazione, non può essere delegata ad altri corpi femminili ridotti a cose o a merci nell’ambito di un contratto, ogni uso come oggetto di un corpo femminile è un abuso in sé. Comunque se ne voglia concludere, l’argomento è molto forte. E si incrocia con la questione più generale del gender, intesa come possibilità, e magari obbligo educativo, opportunità, diritto, nuova consuetudine, di scegliere il proprio sesso in base a una decisione soggettiva. La questione non si risolve sull’altarino tradizionalista, che un suo senso ce l’ha ma è discutibile, della famiglia come nucleo naturale, padre, madre, figli. Il problema è che i diritti soggettivi implicano a un certo punto quelli oggettivi, e tra questi i diritti del corpo.
Nell’aborto l’evidenza è nascosta dal fatto che l’oggetto è nel corpo della donna che concorre alla decisione sociale di annientarlo e ne è protagonista e vittima. Ma in tutti gli altri casi no. Nell’ultimo libro di Cormac McCarthy, proprio all’inizio, c’è un ritratto magnifico e atroce di William diventato Debussy, un uomo che si è voluto tragicamente donna. La scelta del sesso ha una dimensione scespiriana, è tragica e infinitamente patetica nelle implicazioni letterarie del romanzo. Se c’è qualcosa di apocalittico nel secolo che avanza è qui, in questa diffusione della cultura del gender e nelle sue conseguenze. Ancora una volta la famosa questione dell’io e dell’altro, declinata con insopportabile monotonia retorica in ogni modo e per ogni dove, considerata l’alfa e l’omega della nuova civilizzazione accogliente, si ripropone. Cambiare sesso vuol dire fare una scelta oggettivante sul proprio corpo, per così dire una rigestazione per sé paragonabile alla gestazione per altri, e si parla di nuovo di tecniche, modificazioni, intromissioni profonde della psicologia, della farmacopea, della chirurgia, si tratta di un trattamento oggettivizzante interno allo stesso diritto soggettivo di essere come ci si sente. Il problema è quindi che siamo arrivati al limite, un limite percepibile e percepito dal pensiero femminista e dai tradizionalisti, oltre il quale il diritto soggettivo non è più esclusivamente tale. Forse sarà più difficile trasformare la gestazione per altri e la scelta del gender in diritto assoluto della persona.