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Politica e genere

Dai programmi di Starmer ai silenzi di Kamala, quante delusioni per i transattivisti

Marina Terragni

Il progressismo britannico e quello americano si lasciano alle spalle le istanze di una fetta del mondo lgbtq+, che insorge contro il rapporto che raccomanda la sospensione della terapia affermativa per i minori: lo scontro fra medicina, etica e attivismo è appena iniziato

Dal nuovo governo laburista i transattivisti britannici si aspettavano probabilmente un’inversione di rotta: che con Keir Starmer si potesse tornare ai tempi gloriosi della Tavistock Clinic, ormoni à gogo per i bambini non conformi al genere, alle ortiche il ponderoso Cass Review sulla base del quale il governo conservatore uscente aveva stoppato la somministrazione della cosiddetta terapia affermativa. In campagna elettorale, a dire il vero, Starmer non si era mostrato troppo sensibile alle istanze transattiviste, in apparenza una distrazione tattica a uso di quell’elettorato moderato che di queste faccende non ne può più. Ma traslocato a Downing Street non ha cambiato rotta: niente più puberty blocker per i minori se non all’interno di protocolli sperimentali, fermo sulla posizione del suo predecessore Rishi Sunak


“Che casino!”: dal suo sito la nota attivista Claire eleva il suo lamento. “Dopo cinque lunghi anni nelle trincee dell’attivismo trans nel Regno Unito mi tiro indietro, probabilmente in modo permanente (…) Questo governo laburista sarà letale per la comunità trans e lo farà ascoltando le organizzazioni e gli alleati lgbtq+, sorridendo educatamente e ignorando tutto questo perché è tutto per il nostro bene. Il Labour ha un enorme, enorme problema di transfobia che viene completamente e totalmente ignorato”. 
Se Claire cede alla rassegnazione, la lobby tenta invece il colpo grosso e definitivo nella classe medica andando all’assalto della British medical association (Bma), la più antica e prestigiosa associazione di categoria con i suoi 195 mila iscritti. Il consiglio direttivo (69 membri) ha recentemente approvato un documento contro il Cass Review e in favore di una ripresa di somministrazione della terapia affermativa. Il rapporto della dottoressa Cass, si sostiene, contiene raccomandazioni “infondate”. E’ necessaria quindi “una pausa nell’implementazione delle raccomandazioni del rapporto (…) i pazienti transgender e gender-diverse devono continuare a ricevere assistenza sanitaria specialistica, indipendentemente dalla loro età”
Una bomba: più di 1.400 medici, tra cui un centinaio tra docenti e presidenti di Royal College di medicina, hanno espresso in una lettera aperta il loro “sgomento” per la presa di posizione del consiglio e chiedono alla Bma di ritirare la delibera. 


“Non hanno prove per la loro opposizione. Il Cass Review non è una questione di competenza di un sindacato. Non è compito nostro criticarlo. E’ uno spreco di tempo e risorse”. Il consiglio direttivo sta “andando contro i princìpi della medicina basata sulle prove e contro la pratica etica”. A dare maggiore forza alla protesta, decine di dimissioni fra cui quelle di membri storici e prestigiosi, una valanga che sta travolgendo l’associazione: la decisione del consiglio manca di trasparenza, si dice, e non rappresenta affatto le opinioni della generalità dei soci che non sono stati in alcun modo consultati. Un firmatario della lettera ha chiesto “un voto di sfiducia nei confronti della dirigenza” definita minoranza chiassosa e ideologizzata impegnata in un’“anti Cass agenda”. “A quanto pare agli attivisti è stato concesso di prendere il potere”, ha commentato un altro dissidente.
Nel frattempo, ignorando le richieste della Bma, il Servizio sanitario nazionale (Nhs) continua a mettere in atto le raccomandazioni della dottoressa Cass che oggi siede come membro indipendente nell’House of Lords. 


Con ogni probabilità l’associazione sarà costretta a tornare sui suoi passi. Forse l’attivista Claire non ha tutti i torti: “L’impegno trans non funziona più e nemmeno la protesta”. Certo, serve tempo: in Spagna c’è un condannato per violenza sessuale che grazie alla scellerata Ley Trans ha “cambiato sesso” last minute per ridurre la pena o evitare di scontarla del tutto; in Svezia è stata abbassata a 16 anni l’età minima per la transizione. Ma il peak trans sembra ormai alle spalle, da tempo si intravede la china discendente e anche i progressisti cominciano a prenderne atto. 
Non solo Starmer: anche Kamala, per dirne una. Che dopo un’informale e glitterata apertura di campagna attorniata dalla superdrag Ru Paul e dalle sue girl, scende alla chetichella dal carro en travesti: meglio non innervosire la classe media lavoratrice. “Get woke, go broke”: la formula che terrorizza il marketing sta diventando politica.