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il colloquio

Di cosa parliamo quando parliamo di gender

Tommaso Tuppini

Dal femminismo al movimento Lgbtqia+ che ha spostato l’oggetto della ribellione: non più il sistema patriarcale ma la differenza sessuale. Contro la neolingua dello schwa, contro l’utero in affitto. "Meloni è figlia del femminismo. Merkel si faceva chiamare cancelliera". Chiacchierata con la filosofa Adriana Cavarero 

Adriana Cavarero, il femminismo italiano ha circa cinquant’anni, tanto è passato dalle pionieristiche ricerche delle pensatrici e filosofe che per prime hanno indagato quella che voi chiamate la differenza sessuale. Il libro di Mondadori che hai appena pubblicato insieme a Olivia Guaraldo, “Donna si nasce”, è anche un modo per fare il punto sulla situazione del femminismo in Italia e nel mondo. Voi, le autrici, vi rivolgete a una ipotetica “ragazza” lettrice, consapevoli che non sempre il vostro linguaggio le suonerà famigliare. Molte rivendicazioni femministe che fino a poco tempo fa sembravano di buon senso, oggi possono suonare demodé. E’ soltanto un problema di lessico e comunicazione? Dopo cinquant’anni di storia e di lotte, che cosa è vivo e che cosa è morto nel movimento femminista come tu lo hai conosciuto?
 
Il modo in cui la tua domanda è posta sembra presupporre uno sguardo “antiquario” – per dirla con Nietzsche – sul femminismo. Nel libro cerchiamo di raccontare – a un’ipotetica ragazza di oggi – come il femminismo non sia solo un movimento nato negli anni Settanta e sopravvissuto nella nostra memoria per le manifestazioni rumorose di quell’epoca. La problematica relazione tra le donne e la politica inizia con la Rivoluzione francese, quando Olympe de Gouges fa notare che gli ideali di libertè, egalitè, fraternité sono tutt’altro che universali finché valgono solo per i maschi. Il femminismo, anche se non veniva ancora chiamato con questo nome, nasce in quell’epoca di grandi rivolgimenti e si sviluppa per più di un secolo sino a sfociare, come notano gli storici, nell’unica rivoluzione di successo del ’900. Il successo riguarda in primo luogo l’estensione alle donne della uguaglianza fra tutti gli uomini o, se vuoi, la parità. In tal senso le ragazze d’oggi, libere ed emancipate, che lo riconoscano o no, sono tutte figlie del femminismo. Mia nonna, che non aveva neppure il diritto di voto, se lo sognava di poter fare la chirurga o l’astronauta! A partire dagli anni Settanta, larga parte del femminismo ha però preso coscienza non solo dell’uguaglianza delle donne rispetto agli uomini, ma anche della loro differenza. Il libro tratta soprattutto di questo, di come la differenza si articoli su diversi piani: diritti, sessualità, maternità ma anche violenza, femminicidio, mercificazione del corpo femminile, come nel caso dell’utero in affitto. Comunque, le rivendicazioni che tu definisci “demodé” in un certo senso lo sono davvero, perché oggi, nei discorsi progressisti sui diritti e le libertà, è diventato di moda un linguaggio diverso, una specie di neolingua anglofona, mutuata dalla galassia LGBTQIA+, che parla di queer, transgender, cisgender, schwa, fluidità, intersezionalità e così via. Sintomaticamente, in questa lingua di moda, il principio di oppressione non è più identificato nel cosiddetto sistema patriarcale che riserva agli uomini un ruolo privilegiato, bensì nel binarismo, il quale sarebbe un sistema che, sulla base della falsa pretesa che i sessi siano due, maschile e femminile, opprime e discrimina le identità sessuali non conformi. Tu capisci che ciò che viene denunciato come opprimente è quindi proprio la differenza sessuale in quanto binarista. La denuncia viene fra l’altro dal movimento transfemminista, altro vocabolo molto indicativo di quanta complessa e confusa sia oggi la situazione. Il libro si sforza innanzitutto di chiarire questa confusione lessicale e concettuale. Cerca di spiegare le cose con parole semplici.

Effettivamente il movimento LGBTQIA+ oggigiorno tiene banco un po’ ovunque. Nel vostro libro dite che il rischio delle rivendicazioni “anti-binariste”, cioè che negano la differenza sessuale tra uomo e donna, è buttare tutto dentro lo stesso calderone e trasformare le differenze più solide in costruzioni culturali più o meno arbitrarie e reversibili. Molti – soprattutto i giovani – vedono in questo un gesto liberatorio e progressivo, infatti usano a tutto spiano schwa e asterischi. Perché una filosofa indubbiamente progressista come te non è d’accordo?

Le nuove generazioni tendono inevitabilmente, e giustamente, a ribellarsi rispetto all’ordine vigente, ritenuto autoritario e oppressivo: la dottrina LGBTQIA+ offre loro un tasso altissimo di ribellione. Cosa c’è di più antagonista che negare il dato biologico della differenza fra i sessi? La mia generazione faceva la rivoluzione contro il sistema capitalista e patriarcale. Volevamo liberare il proletariato dallo sfruttamento e le donne dal giogo domestico. Alcune insegnanti mi raccontano che ora invece, alle scuole medie, non è raro che una bambina dica con aria di sfida “io sono trans” o “io sono queer”. Poi si innamora di un ragazzo e il discorso cade. Ma è indicativo che abbracciare la posizione anti-binarista sia sentito come un atto rivoluzionario e liberatorio. Nel libro analizziamo le radici individualiste e neoliberali di questa ribellione. La nuova libertà consisterebbe nel fatto che, attraverso quello che in inglese è chiamato Self-Id, ognuno è libero di identificarsi nel “genere” che vuole, indipendentemente dal sesso biologico, in quanto genere auto-percepito, oppure di transitare da un genere all’altro o verso nessun genere, magari temporaneamente, con fluidità. Il problema non sta ovviamente nel fatto che esistono e sono sempre esistite persone trans o intersex. Lo sapeva già Platone! Del resto, il femminismo lotta da tempo accanto a queste persone per riconoscere i loro diritti e combattere ogni discriminazione. Il problema sta nel fatto che lo status di queste minoranze sessuali – nel caso dell’intersessualità rarissime – viene oggi preso a modello e applicato all’intera umanità come rivoluzionario e liberatorio. Di qui il fascino per le giovani generazioni, nonché per il Dna rivoluzionario che caratterizza tradizionalmente le sinistre radicali. In effetti, in un certo senso, l’impatto del movimento LGBTQIA+ sul presente ha cambiato le regole del gioco politico, spostando l’oggetto della rivoluzione. La differenza sessuale continua tuttavia a essere un fatto? La risposta è: tanto peggio per i fatti.

La mia anima progressista e di sinistra, in quanto filosofa, si rifiuta di aderire alla negazione dei fatti e alla fabbricazione di teorie controfattuali che pretendono di disciplinare il reale. Sente odore di irrazionalismo e di metafisica. E poi, come tu sai, seguire le mode non si addice alla filosofia.

Diciamo che sparigliare le carte è da sempre una tattica efficace per raccogliere consensi. Ti sarai accorta che la nostra prima ministra ha gettato non poco scompiglio dentro il campo femminista. Molte donne di sinistra, ma anche molti uomini, sono andate in cortocircuito: erano pronte ad applaudire fino a spellarsi le mani una pasionaria che piantava il suo rosso vessillo dentro le stanze del potere e invece si sono ritrovate una donna di destra, rimanendo indecise se applaudire tiepidamente perché è una donna oppure brontolare perché è di destra. Sei un’eccezione a questo atteggiamento o sei andata in cortocircuito anche tu? Cosa pensi di Giorgia Meloni?

In quanto donna libera ed emancipata, capace di ricoprire cariche di potere e di realizzare le sue ambizioni, forte nella leadership, Giorgia Meloni è figlia del femminismo. Forse lei non lo direbbe così, ma è storicamente un fatto. Io non apprezzo per niente il suo progetto politico e ancor di più la scelta delle persone che con lei collaborano, ma penso che una donna che raggiunge posizioni politiche apicali trasmetta un valore simbolico positivo, in Italia quasi dirompente. Quindi, in un certo senso, mi barcameno e ti deludo. Non mi sento però stretta in un cortocircuito. Nessuna femminista ha mai pensato che qualsiasi donna, in quanto donna, sia di per sé buona e giusta. Le donne non sono fatte con lo stampino. Il femminismo della differenza sessuale ne rispetta, anzi, ne esalta le differenze singolari. Né mi sorprende che una donna al potere lo usi per finalità che per la maggior parte non condivido. Del resto, fin dal suo insediamento, Meloni ha dato segnali irritanti per una prospettiva femminista. Nel libro “Donna si nasce” riflettiamo sulla sua famosa richiesta di essere chiamata il presidente e non la presidente. Si tratta di un brutto errore di grammatica, un po’ patetico nel portare allo scoperto un senso di debolezza per ricoprire, da donna, una carica la cui legittimità e autorevolezza è stata garantita da una lunga tradizione di soli uomini. Angela Merkel che si faceva chiamare cancelliera aveva evidentemente meno problemi, direi, più fiducia nelle capacità del suo sesso. Non mimava i maschi, era forte di suo. Se Meloni ammettesse finalmente di essere la presidente del Consiglio, lo apprezzerei – e con me coloro che, nelle scuole e nelle università, compresa l’Accademia della Crusca, tutelano la grammatica della lingua italiana.

Tu fai riferimento a Angela Merkel. Vuol dire che è possibile essere femministe senza essere di sinistra? Pensi che il movimento femminista potrebbe diventare più ecumenico se desse una mano a superare gli steccati novecenteschi tra destra e sinistra oppure una femminista al 100 per cento non può che essere di sinistra?

Al di là delle storie individuali, il femminismo ha storicamente interloquito con l’area della sinistra per ragioni evidenti. La lotta per l’uguaglianza, l’emancipazione, i diritti e la liberazione dei soggetti oppressi e sfruttati è sempre stato un patrimonio della sinistra. Non vedo come la novità rivoluzionaria del femminismo, che affranca le donne dal ruolo domestico tradizionale o, se vuoi, dallo stereotipo che le vuole obbedienti e sottomesse ai maschi di casa, possa rientrare nel progetto conservatore e tradizionalista della destra. Ciò non significa che il femminismo sia subalterno ai partiti di sinistra, anzi, il movimento femminista ha sempre mostrato di saper agire in autonomia, spesso anche contro pregiudizi misogini degli uomini di sinistra. Io non conosco nessuna femminista, in Italia e nel mondo, che si dichiarerebbe al 100 per cento di sinistra. Inoltre, tu capisci che la politica dei partiti è sempre una questione di alleanze tattiche, compromessi per la spartizione del potere, strategie elettorali, narrazioni, promesse e menzogne. Il femminismo è mille miglia lontano da questo teatro. Ha pratiche, modalità, contesti, espressioni diverse. Io e Olivia Guaraldo, scrivendo un libro che critica la neo-lingua della galassia LGBTQIA+ e condanna aspramente l’utero in affitto, siamo ben consapevoli del fatto che un certo schieramento radicalizzante della sinistra non esiterà a collocarci nell’area della destra definendoci omofobe e transfobiche. Eppure con la destra conservatrice e familista, con coloro che attaccano furiosamente la cosiddetta “teoria del gender”, noi non abbiamo niente a che spartire. Il nostro fine non è ecumenico, è tentare di far chiarezza sull’uso di una serie di parole e di concetti – fra i quali il famigerato gender – che girano nel dibattitto pubblico in modo equivoco e confuso, manovrati da opposti schieramenti polemici che pensano di trarre consenso o profitto elettorale da questa confusione. Lasciami essere un po’ retorica: il femminismo ci ha insegnato a essere libere, la filosofia a esercitare un pensiero critico che non teme censure e, tanto meno, prudenti autocensure. Il libro è frutto di questi insegnamenti.
 

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