(getty)

dopo la sentenza nel regno unito

Donna si nasce, d'accordo. Ma riflettiamo

Giuliano Ferrara

Care amiche femmine, femministe e libertarie, ora che avete decapitato un diritto in nome del primato biologico del femminimo, vi tocca fare i conti con gli altri diritti negati dal relativismo. Sennò è un gioco troppo facile

Donna si nasce, d’accordo, totalmente d’accordo, ma riflettiamo. Per la prima volta un movimento libertario (femminile e femminista) –  J. K. Rowling e le altre hanno avuto coraggio – è riuscito a ottenere la decapitazione di un diritto. In assonanza con Trump, che è il dazio altissimo da pagare per chiunque pensi alcune cose da lui realizzate da prima che l’Impostore ne abbia intuito il potenziale elettorale e strumentale, la corte più rilevante del Regno Unito ha stabilito maestosamente, swiftianamente, l’ovvio assoluto, Brobdingnag. Che donna si diventi è una metafora saggistica brillante, niente di più. Nella vita civile fa statuto l’insieme di biologia e anagrafe, due registrazioni della realtà, sei quel che sei alla nascita, comprese soggettività e coscienza, e che saresti se la tua nascita sessuata non fosse impedita con la coercizione libertaria del diritto d’aborto, un altro diritto che in nome di femminismo e libertarismo andrebbe regolamentato, non dispiegato come una bandiera di autonomia e proprietà riproduttiva del proprio corpo (c’è di mezzo il corpo di un altro essere umano, con i suoi cromosomi, donna o maschio, il prebambino bombardato senza pietà a centinaia di milioni di esemplari da decenni poco edificanti).  
 

La riflessione oltre la sentenza, che certamente esclude alcune assurdità come il maschio che gareggi con la femmina e certe promiscuità sgradite alle donne o a certe donne, dovrebbe partire da un fatto. Tutto nella società occidentale verte sulla libertà individuale e di coscienza, il che è tutto sommato una bella cosa, se non si giocasse sull’equivoco totalitario e mistificante intrinseco al tema della libertà, che procede dall’individuo ma ha un impatto sociale e comunitario, civile e per così dire repubblicano, riguarda educazione, istruzione, ricerca, relazioni personali, famiglia, legge, usi e costumi, funzione della pratica medica e della scienza, decisioni politiche  e costanti culturali difficili da consegnare alle sole pulsioni del soggetto, nella sua totalità libertaria ideologica. Nel regno swiftiano del relativismo assoluto, appunto Brobdingnag o l’isola di Laputa, non si capisce perché il sesso biologico alla nascita possa essere trattato come una prigione. Non solo nelle città affluenti e bobo, anche nella campagna toscana e leopoldina dove vivo, esistono non rarissimi casi di scelta individuale del sesso di appartenenza, diverso da quello reale, trattati con tolleranza e senso del diritto personale oltre la linea dello smarrimento educativo e familiare. Se un maschio si sente femmina, per dire, e si veste da femmina e si comporta da femmina e vuole fin dalla minore età, vuole fortissimamente vuole, essere femmina, ci sono fior di apparati psicologici, ospedali attrezzati, mentori e appassionati operatori medici che cercano di garantirgli l’acquisizione di questo cosiddetto diritto. Marianna Rizzini aveva scritto qui una illuminante inchiesta in proposito. “Donne si diventa” per molti ragazzini o pochi, ma fa lo stesso, non è una metafora buona per l’educandato di Saint-Germain-des-Près, è vita vissuta a partire dai modelli televisivi, dallo screening sociale autoprodotto dalla civiltà dell’immagine e della musica e della moda, e naturalmente è anche una libera scelta, sebbene sotto la condizione strana della libertà adolescenziale assoluta o preadolescenziale.


Si dirà. Nessuno vuole impedire la condizione della transizione sessuale in sé, il problema è difendere le donne da questo nuovo patriarcato, come dice Eugenia Roccella, che si vuole imporre a partire dalla scelta maschia di essere anche femmina, accompagnata dalla pratica medica e dalla inclusività educativa del tutto nel tutto. Giusto e sensazionalmente normale. Vorrei vedere che si facesse una crociata contro i trasgender. Ma questo “vorrei vedere” è anche una ipocrita foglia di fico, copre una scelta restrittiva dei diritti di autorealizzazione, rende parziale e non inclusivo l’accoglimento della transizione nei suoi effetti finali, è chiaro. Dunque riflettiamo. Tenere in piedi le basi del relativismo in tutte le materie che riguardano l’individualità e la relazionalità dei rapporti d’amore o sessuali, nella nozione di ciò che è paideia o educazione o pedagogia, nell’impianto culturale e sociale di come noi siamo, maschi e femmine e anche qualcos’altro, nella idea di autorità e di paternità e maternità che ci facciamo in quel che resta del nucleo familiare originario della società, non è possibile. Care amiche femmine, femministe e libertarie, avete decapitato un diritto in nome del vostro diritto al primato biologico del femminino, bene, ora fate i conti con gli altri diritti negati dal relativismo. Sennò è un gioco troppo facile. Grazie.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.