Osservazioni sull'articolo di Carlo Bonini
Nel suo lungo articolo di ieri su Repubblica, Carlo Bonini tira un bilancio del processo "mafia capitale" giunto grosso modo a metà del suo percorso. Già nel titolo c'è la parola "allarme", le cose non vanno secondo le previsioni. Si elencano una serie di cause dal 'genius loci' al risultato elettorale per denunciare un "ritorno alla normalità" che intende consegnare il processo all'oblio, se non alla irrilevanza, mentre è ancora in svolgimento. La causa principale comunque Bonini la individua nella frammentazione in decine di processi che "da soli nulla dicono della mafiosità della città ma che, letti insieme, la documentano". Così decontestualizzate le vicende criminali, sostiene Bonini, la trama che le unisce viene azzerata in ogni processo. "Come accadeva in Sicilia negli anni 60 di fronte alla mafia".
L'osservazione non è banale né infondata ma forse fa l'economia di un passaggio. La svolta vera in Sicilia avviene quando Falcone ottiene da Buscetta la descrizione, corredata da prove, della mafia come organizzazione unitaria, ramificata ma gerarchica. Nel processo romano non c'è un Buscetta ma una intercettazione di Carminati che parafrasa Tolkien. Troppo poco per non rendere azzardata l'utilizzazione del 416 bis. Non si tratta di minimizzare l'inquietante realtà dell'intreccio criminale romano che, nel libro che Bonini ha scritto col giudice De Cataldo, è certo ben descritto. Ma fare un romanzo, o anche una inchiesta giornalistica, è cosa diversa dal portare a buon fine un processo. Purtroppo, per certi versi. Per fortuna, per altri e non irrilevanti.
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