La linea difensiva di Ingroia oggi fa capire come abbia operato da magistrato

Massimo Bordin

Le sua tesi per smontare le accuse di peculato lasciano intendere un caso lampante di quella che Ernesto Rossi definiva la socializzazione delle perdite e la privatizzazione dei profitti

E’ necessario tornare a occuparsi del dottore Ingroia, perché a tutto c’è un limite. Ieri sera alcuni tg hanno proposto la sua versione a proposito dell’indagine per peculato che lo riguarda e si sono potuti apprendere nuovi particolari dalla sua viva voce, sottolineati dalla sua mimica inconfondibile. La sua linea difensiva è la seguente: i dati usati dai magistrati palermitani sono sbagliati in partenza. Non mi si può accusare, dice Ingroia, di aver incrementato il passivo della società partecipata regionale per avere incassato un “premio di risultato” di 117 mila euro a fronte di un attivo conseguito di soli 33 mila.

 

  

Ovviamente, sostiene Ingroia, nell’attivo era compresa anche la cifra del mio premio, dunque l’azienda non ci ha rimesso e non capisco di che mi si accusi. Questa la tesi. Può essere che la parola abbia tradito il pensiero ma il ragionamento del dottore Ingroia, preso alla lettera, porta a concludere che a fronte di un attivo societario di circa 150 mila euro, la Regione Sicilia, governata dall’ineffabile Crocetta, lo ha gratificato di un premio pari a oltre l’80 per cento dell’utile conseguito. Siccome la società partecipata resta gravata da un passivo accumulato che si conta in milioni, la linea difensiva del dottore Ingroia rappresenta un caso lampante di quella che Ernesto Rossi chiamava la socializzazione delle perdite e la privatizzazione dei profitti. Il fatto che il dottore Ingroia, ora avvocato, consideri la sua una brillante tesi difensiva, aiuta retrospettivamente a capire come abbia svolto il ruolo di pubblico accusatore. Qui ci si continua a chiedere quando finirà questa costosa buffonata.

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