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Mafia o concussione e corruzione? Quel che non torna nel processo di Mafia Capitale

Massimo Bordin

Perché dalle testimonianze di Salvatore Buzzi esce decurtata la forza intimidatoria dei membri più violenti del sodalizio

Ieri eravamo rimasti al passaggio forse fondamentale nell’interrogatorio di Salvatore Buzzi nel processo MafiaCapitale, quando Buzzi lamenta le pesanti richieste di denaro, non spiccioli ma botte da centomila euro, da parte di un altro imputato, Franco Panzironi, all’epoca consigliere del sindaco Alemanno che lo aveva messo al vertice dell’Ama.

 

Panzironi è personaggio molto diverso da Buzzi. Appare un prodotto politico tipicamente romano, gran navigatore democristiano che poi si avvicina alla destra ma resta presidente della fondazione De Gasperi dove era stato messo da Andreotti. Il ragionier Panzironi non ha mai visto Carminati, eppure si ritrova in compagnia di Buzzi fra i 19 imputati gravati dalla imputazione di associazione mafiosa. Di più. Secondo le accuse del suo coimputato, alle quali i pm credono almeno in parte, Panzironi era in grado di pretendere cifre rilevanti da Buzzi, che pure si ritrovava come socio il terribile Carminati.

 

Secondo gli schemi propri di una organizzazione mafiosa dunque il politicamente navigato ragioniere sarebbe un associato più potente sia di Buzzi sia di Carminati, l’uomo con la katana, il braccio violento che secondo le ricostruzioni giornalistiche è al centro di mille oscure connessioni. Non regge una simile caratura criminale sulle spalle del ragionier Panzironi. Esce se mai decurtata la forza intimidatoria dei membri più violenti del sodalizio, ma se l’imputazione di 416 bis rimane appiccicata a Panzironi vuol dire che l’ambizione della accusa non è solo legata a questo processo. Non resta che pensare che da parte della procura si punti a far applicare il reato di mafia ai casi di concussione e corruzione. Obiettivo molto ambizioso.

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