I cavalli di Troia della magistratura
L’Anm, attraverso il suo presidente, chiede di estendere l’utilizzazione di mezzi d’indagine particolarmente intrusivi
A proposito della riforma del processo penale che si sta discutendo in Parlamento, ieri il neopresidente della Anm, Eugenio Albamonte, è tornato a porre un problema che sta a cuore al sindacato dei magistrati a proposito di intercettazioni. Il presidente Albamonte ha tenuto a premettere che “la magistratura condivide l’esigenza di tutelare meglio la privacy”, citando le circolari in materia emanate da diverse importanti procure fra cui quella di Roma, ma ha ribadito la critica alla limitazione dell’uso dei trojan per i soli reati di associazione mafiosa e il terrorismo. I virus che possono essere inseriti nei computer per captarne i messaggi, sorta di cavalli di Troia informatici, vanno usati più estesamente. Circoscriverne l’uso a quei due soli reati, sostiene Albamonte, “vuol dire perdere una massa di informazioni utili nelle inchieste sui reati associativi con finalità diverse. Compresa la corruzione”. L’Anm, attraverso il suo presidente, chiede dunque di estendere l’utilizzazione di mezzi d’indagine particolarmente intrusivi ma non ci si può nascondere che la magistratura inquirente, se il governo tenesse il punto, potrebbe comunque aggirare il divieto contestando l’associazione mafiosa anche in casi di corruzione. L’impianto accusatorio del reato associativo scricchiolerebbe, ma intanto i più potenti mezzi d’indagine sarebbero stati comunque usati per provare i reati specifici commessi dagli associati. Così, ad esempio, si potrebbe spiegare, almeno in parte, la contestazione del 416 bis nel processo Mafia Capitale, anche se all’epoca i “trojan horses” non erano in uso. Ma filmati, intercettazioni ambientali e pedinamenti sì.