Strage di via d'Amelio, il pentito prescritto e i “depistatori”
Dopo 25 anni arriva la sentenza per l'attentato al giudice Paolo Borsellino. Prescrizione per Scarantino, condannati alcuni esponenti della cosca su cui Bruno Contrada, inviso a certi antimafiosi, aveva suggerito di indagare
A distanza di un quarto di secolo dai fatti è arrivata ieri la sentenza sulla strage di via D’Amelio. Il pentito Scarantino, che, accusando persone rivelatesi innocenti, ha causato l’annullamento di due precedenti sentenze, ha ottenuto la prescrizione grazie alle attenuanti generiche «perché indotto alla calunnia da apparati appartenenti allo Stato». Le parole hanno la loro importanza. In fondo si poteva dire che Scarantino è stato preso e gonfiato di botte finché non ha firmato un verbale in cui, accusando un po’ di gente, metteva una toppa ai buchi della indagine. Certo non sono stati i magistrati, che però un teste del genere hanno preso per buono. Può succedere, anche se qualche giornalista li aveva avvertiti a tempo debito, ma è per salvare l’onore professionale di quei PM che nasce la favola del «raffinatissimo depistaggio» a nascondere una sordida storia da sottoscala di questura, abbastanza facile da scoprire. Nella sentenza, invece di nominare un questore, peraltro non più perseguibile perché scomparso nel frattempo, e qualche suo sottoposto, si ricorre alla nebulosa formula degli «apparati di stato». Così il «raffinatissimo depistaggio» resta in piedi e può continuare la caccia ai «mandanti occulti». C’è però un altro aspetto della faccenda. Usciti dal processo alcuni mafiosi della cosca di S.Maria di Gesù, tirati dentro da Scarantino perché erano gli unici che conosceva, sono stati condannati in loro sostituzione alcuni mafiosi della cosca dei Madonia di Resuttana. Quella su cui aveva proposto di indagare, subito dopo la strage, Bruno Contrada, ritenuto, da certi antimafiosi e da una discussa sentenza, un depistatore.