Mafia capitale e un caso esemplare
Una brutta storia che però, dal punto di vista della giurisprudenza ha la sua importanza per una serie di sentenze della Cassazione
Ha compiuto pochi giorni fa ottant’anni il socialista Alberto Teardo, che da presidente della giunta regionale ligure fu arrestato nel giugno 1983. Chissà se immaginava che, nella fase finale del processo Mafia capitale, il caso giudiziario che porta il suo nome sarebbe tornato di attualità. Una brutta storia che però, dal punto di vista della giurisprudenza ha la sua importanza per una serie di sentenze della Cassazione. Teardo e altri imputati si videro contestare il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso, il famoso articolo 416 bis, allora da poco inserito nel codice. Il processo di primo grado si concluse nell’agosto 1985, Teardo fu condannato a 12 anni e 9 mesi ma non per 416 bis che il tribunale di Savona non ritenne congruo come capo di imputazione. Quando, dopo l’appello, il processo arrivò in cassazione nel 1989, la suprema corte, che nel 1984 aveva ritenuto non sufficientemente motivato quel capo di imputazione pur ritenendolo ammissibile, annullò il verdetto di appello che assolveva gli imputati dalla accusa di mafia. Questa sentenza della cassazione è quella che contiene l’interpretazione più estensiva del 416 bis e ovviamente è stata valorizzata dalla procura e da alcuni avvocati della parte civile nel processo Mafia capitale. La storia però ebbe un seguito. Il nuovo processo condannò gli imputati, ma, di nuovo, non per associazione mafiosa, pur modificando in alcuni punti la sentenza d’appello. Fu così che il primo processo per lo specifico reato di mafia celebrato a nord del Garigliano si risolse in una sconfitta per l’accusa ma la sentenza della cassazione rimase nel massimario come precedente giurisprudenziale.