Giovanni Melillo

Quei processi inutili che fanno curriculum per i procuratori

Massimo Bordin

Le riflessioni di Ingroia sull’elezione a procuratore capo di Napoli di Giovanni Melillo

Articolo complesso quello di ieri, sul Fatto quotidiano, firmato dal dottore Antonio Ingroia. Molti temi si affollavano nell’elaborazione del filo del ragionamento che comunque ruotava come sempre intorno al rapporto fra politica e magistratura. Il tema è logicamente caro all’ex procuratore aggiunto poi sfortunato candidato alla presidenza del Consiglio.

 

C’era comunque una notizia, a fare da innesco alla riflessione, ed era l’elezione a procuratore capo di Napoli di Giovanni Melillo preferito dal Csm al procuratore di Reggio Calabria Federico Cafiero de Raho. Il Fatto aveva tentato, con una campagna stampa ad hoc, di scongiurare questo risultato ma non è andata bene, esattamente come a suo tempo una analoga campagna per la candidatura di Guido Lo Forte a procuratore di Palermo contrapposto a Francesco Lo Voi. In quel caso la pietra di paragone fra i due candidati doveva essere, secondo il Fatto, il sostegno fattivo al processo “trattativa”, che Lo Forte da procuratore di Messina, stava proprio allora rifornendo di nuovi testimoni e nuove vicende, che purtroppo però non servirono né al processo né alla sua elezione, che non vi fu.

 

Ora, a proposito di Cafiero, Ingroia scrive che “ha consentito indagini come quella sulla ’ndrangheta stragista e sul sistema criminale integrato di mafie, servizi deviati, massoneria e destra eversiva” che si propone, guarda caso, come l’ultima acquisizione del processo palermitano. In conclusione viene fuori che le nuove puntate del processo inutile e infinito dovrebbero costituire curriculum per le nomine a procuratore capo, ma, saggiamente, il Csm non pare pensarla così.

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