L'indagine su Regeni non è un gioco di telecamere
Ecco perché non serve una commissione parlamentare di inchiesta con onorevoli che giocano a fare gli investigatori
Il dibattito nelle commissioni esteri di camera e senato sull’omicidio di Giulio Regeni, come era prevedibile, ha mostrato, fortunatamente con qualche eccezione, i limiti di un ceto politico volto alla demagogia, all’iperbole, alla confusione. Oggi qualcuno ha scoperto come funziona il sistema egiziano e paragonato al Sisi a un feroce Pinochet venuto dal nulla, eppure fin dai tempi di Nasser gli oppositori sparivano o venivano impiccati. Applicando criteri appena accettabili sui diritti umani il nostro paese avrebbe dovuto, da molto tempo, ritirare gli ambasciatori da quasi tutto il medio oriente. Qualcun altro forza le indubbie reticenze dell’Università di Cambridge fino ad offendere senza motivo la figura di Regeni. Molti sventolano il vuoto articolo del New York Times, definito comicamente da Alessandro Di Battista “importante, serio, comunque interessante” con una singolare de-escalation. Infine quasi tutti invocano quella che ritengono la soluzione del problema: una commissione parlamentare di inchiesta, o almeno di indagine, con obbiettivo la Verità. Come se non fosse in corso una indagine della magistratura che ha bisogno di supporto politico e diplomatico, non di un doppione parlamentare di onorevoli che giocano a fare gli investigatori di fronte alle telecamere.