Boschi e il populismo giudiziario: il caso dello stalking
Per il ministro non è un reato come un altro. Giusto ma l’argomentazione ha un fondamento logico inversamente proporzionale al suo notevole impatto emotivo
La sottosegretaria Maria Elena Boschi, a nome del governo, ha presentato ieri un emendamento al decreto fiscale al fine di cancellare il reato di stalking dal novero di quelli estinguibili attraverso un risarcimento. Difficile non vedere nella iniziativa del sottosegretario alla presidenza del Consiglio una reazione a recenti polemiche per una sentenza che, consentendo una soluzione di questo tipo, aveva causato le rimostranze della parte lesa e polemiche giornalistiche che hanno toccato la riforma penale da poco approvata. La riforma del ministro Orlando prevede appunto le cosiddette misure di depenalizzazione, col fine di alleviare il carico dei procedimenti pendenti. Il caso giornalistico ha dunque determinato la modifica legislativa, secondo una tradizione consolidata non solo, ma particolarmente, per le vicende giudiziarie. Nel comunicato in cui motiva la sua iniziativa, Elena Boschi afferma che il reato di stalking, per chi lo subisce non è un reato come un altro. Giusto ma l’argomentazione ha un fondamento logico inversamente proporzionale al suo notevole impatto emotivo. A pensarci bene, per qualsiasi vittima qualunque reato consumato ai suoi danni è incomparabile con tutti gli altri contenuti nel codice e dunque non merita attenuanti, pene alternative, tanto meno depenalizzazioni. Tutte procedure che, seguendo questa logica, andrebbero cancellate. Può essere che nel caso specifico Boschi abbia ragione, anche se la riforma mantiene su queste misure uno spazio di discrezionalità alla magistratura, ma in ogni caso l’argomentazione addotta è un esempio da manuale di populismo giudiziario.