Pier Luigi Bersani (foto LaPresse)

E se avesse ragione Bersani nel dire che “uniti si perde”?

Massimo Bordin

Il leader di Mdp potrebbe dimostrarsi il più lucido di tutti col suo slogan

Ci ha abituato a metafore bizzarre, talune francamente incomprensibili, ma l’ultimo paradosso coniato da Pierluigi Bersani, rovesciamento di un antico slogan della sinistra, descrive perfettamente la logica elettorale nel nostro paese: “Uniti si perde”. Basta ripercorrere la storia della Repubblica. Le prime elezioni, nel 1948, videro la sinistra socialcomunista unita nel “Blocco del Popolo” perdere contro la Dc e i partiti laici presentatisi ognuno per conto proprio. Nel 1953 fu la Dc ad apparentarsi in una coalizione con la maggioranza dei partiti laici per far scattare una nuova legge elettorale, mentre Pci e Psi si presentarono divisi. La cosiddetta “legge truffa” non passò. Dieci anni dopo, nel 1963, Ps e Psdi ottennero, ognuno per proprio conto, un risultato lusinghiero che aprì la strada del governo al Psi. Alle elezioni successive, nel 1968 i due partiti si presentarono uniti. Subirono una scissione, premiata dagli elettori, arretrarono pesantemente e la nuova formula di governo entrò in una crisi irreversibile.

 

Ci sarebbero un sacco di altri esempi minori non meno indicativi, ma lo spazio impone di passare al periodo del maggioritario, che poi era tale fino a un certo punto, e infatti fu interpretato come la costruzione di alleanze più larghe possibili. Autentiche accozzaglie litigiose che pur vincendo non riuscivano a governare. E’ andata così soprattutto a sinistra, ma meno vistosamente anche a destra. Adesso abbiamo un nuovo sistema elettorale e nasce il sospetto che pochissimi abbiano capito come funzionerà. Nel dubbio, sempre soprattutto a sinistra, si discute di apparentamenti e alleanze. E se Bersani si rivelasse il più lucido?

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