Alcuni dettagli di un processo a Palermo spiegano come la mafia sia in crisi
Perché un particolare di un dibattimento ci consente riflessioni che vanno al di là del possibile uso processuale di una piccola acquisizione investigativa
Un dettaglio che si ritrova nelle pieghe di un processo a volte consente riflessioni che vanno al di là del possibile uso processuale di una piccola acquisizione investigativa. E’ il caso di una questione sorta nel corso del processo che si tiene in Corte di Assise a Palermo nei confronti di sei imputati, legati alla famiglia mafiosa di Borgo Vecchio, accusati dell’omicidio dell’avvocato ed ex parlamentare del Pdl Enzo Fragalà.
Nella testimonianza di un ufficiale dei carabinieri, il maggiore Dario Ferrara, comandante del nucleo investigativo palermitano, viene fuori un particolare su uno degli imputati, ritenuto un attivo membro della cosca del Borgo. L’ufficiale dei carabinieri, preciso e competente, cita un arresto di tre anni fa dell’imputato, incappato in un’operazione contro la famiglia di Resuttana e in quell’occasione accusato di estorsione.
Il pm nota l’anomalia di un mafioso affiliato a due famiglie ma il maggiore ne spiega il motivo.
La cosca di Resuttana, un tempo potente e temuta, aveva bisogno di manovalanza per le estorsioni. Manovalanza, dice proprio così. Tre anni fa, ed è sperabile che la crisi continui tuttora, nella zona di Resuttana la mafia era a corto di uomini. A Borgo Vecchio peraltro le cose non vanno diversamente. L’ufficiale ha elencato, nella sua cronologia, diversi “reggenti” della famiglia del Borgo, uno succeduto all’altro, non per motivi di contrasti interni ma semplicemente perché uno dopo l’altro venivano, e vengono, arrestati. Uccidono, sono feroci ma sono sempre meno. Eppure continueremo a leggere Attilio Bolzoni su Repubblica che ci spiega come Cosa nostra sia più forte che mai.