Se il M5s considera il Parlamento da buttare, perché vuole la presidenza della Camera?
In politica, per evitare un pericolo non è sufficiente limitarsi a descriverlo
Perché mai affidare la presidenza della Camera dei Deputati a un esponente di un movimento che sostiene il superamento della democrazia rappresentativa? Se lo chiede, con un classico interrogativo retorico, un parlamentare del Pd, il professore Stefano Ceccanti, esperto di Costituzione, leggi elettorali e sistemi parlamentari. Di primo acchito si può istintivamente convenire, né vale a rassicurare l’affermazione dell’auto proclamato premier Luigi Di Maio, che ha definito un luogo sacro il Parlamento che il M5s aveva paragonato, all’inizio della legislatura appena conclusa, a una scatola di tonno.
Eppure, dopo avere istintivamente solidarizzato con il professore Ceccanti, ci si può accorgere che qualcosa non va. Per esempio che lo stesso ragionamento potrebbe essere, a rigor di logica, applicato non solo allo scranno più alto ma anche a quello più defilato dell’Aula. In parole povere, se pensi che sia qualcosa da buttare come una scatola di tonno vuota, perché dovresti entrarci? Ma le democrazie non funzionano così. Devono avere i criteri di rappresentanza e di scelta più ampi e liberi sia possibile. Su questo, c’è da essere certi, anche il professore Ceccanti conviene. Dunque con quelle parole intende far sapere che se la forza democratica dei numeri produrrà quel risultato non sarà stato lui a renderlo possibile. Benissimo. Il problema sta nell’esperienza di come, nella politica, per evitare un pericolo non sia sufficiente limitarsi a descriverlo, come invece possono permettersi giornalisti e professori.