Il caso Moro, antichi dubbi e zero prove
Un articolo sull’eccidio di Via Fani pubblicato dal Fatto e firmato dal professore Ugo Mattei riapre la tesi cospirazionista
A tutto c’è un limite, si usa dire, quando il limite viene superato. Più che di una prescrizione si tratta di una petizione di principio, come tale destinata a restare lettera morta. Per quanto il limite si sposti in avanti, accade che venga sistematicamente superato. Un po’ il contrario del paradosso di Achille e la tartaruga. Viene da pensarlo leggendo l’articolo sull’eccidio di Via Fani pubblicato ieri dal Fatto e firmato dal professore Ugo Mattei. Il professore per la verità mette subito le mani avanti, scontando in anticipo una prevista accusa di cospirazionismo ma non resiste alla tentazione di esplicitare un suo antico dubbio su come andarono davvero le cose. L’unica precauzione è un consulto preventivo, come racconta, con suo figlio, esperto di videogame. Le due domande da cui si parte sono antiche, coeve ai fatti. Come mai Moro non fu colpito? Perché nelle sue lettere non parlò mai della strage della sua scorta? Il professore ha sempre pensato a una risposta e ieri l’ha finalmente svelata. Moro fu rapito prima, mentre era a messa, da ignoti personaggi che, simulando una emergenza, l’avrebbero convinto a uscire da una porta secondaria. E la scorta? Ripartì senza Moro per poi cadere nell’imboscata, definita dal professore una “messinscena”, anche se i morti non si sono rialzati da terra. E Moro? Moro venne portato in Via Gradoli, dove viveva Moretti, poi sospettato, aggiunge maliziosamente il professore, come infiltrato da alcuni brigatisti, senza però mai prove. Come nessuna prova esiste che Moro sia stato tenuto a via Gradoli. Anche perché, pure volendo, non c’era proprio spazio. Non è vero che a tutto c’è un limite.