L'antimafia e quell'intrico di inquirenti e inquisiti
Anche al Fatto si sono accorti che non è più la mafia propriamente detta a gestire il retrobottega oscuro della politica siciliana
Tra 41 bis e morti, restano macerie e un fantasma. Riina sarà ricordato dalla storia come l’uomo che uccise Cosa nostra. Al netto dei patti inconfessabili stretti negli ultimi settant’anni, si affretta poi ad aggiungere Giuseppe Lo Bianco nel suo articolo di ieri sul Fatto. Ma nell’articolo a fianco, firmato da Giampiero Calapà, si ricorda che la commissione regionale di Cosa nostra, la famosa cupola di cui parlava Buscetta, non si riunisce da 25 anni, un quarto di secolo, un periodo lunghissimo. Più della durata del fascismo, che pure si vantò di avere estirpato la mafia. Non era vero, come dimostrano diversi studi in materia, ma anche in tempi di Repubblica proprio quel periodo viene ritenuto quello in cui la mafia fu più debole. Salvo poi scrivere, come ieri il Fatto, che dal momento dell’arresto di Riina Cosa nostra è stata rapidamente uccisa. “Al netto dei patti inconfessabili”, si aggiunge, l’ultimo dei quali viene datato come contemporaneo alla morte della mafia. Ne consegue che si trattò di un suicidio assistito e forse per questo sarebbe inconfessabile. Ma non è andata nemmeno così, perché qualche tentativo di ricostruire la famosa cupola c’è pure stato. Ci provarono i Lo Piccolo, padre e figlio, forse con l’appoggio di Bernardo Provenzano. Furono rapidamente arrestati. Poi provò il giovane Gianni Nicchi, che vantava sostegni dalle famiglie di New York. Arrestato anche lui. Anche al Fatto si sono accorti che non è più la mafia propriamente detta a gestire il retrobottega oscuro della politica siciliana. Piuttosto è certa antimafia, come l’operazione di ieri a Caltanissetta fa pensare. In un indistricabile intrico di inquirenti e inquisiti.