L'opacità del metodo Di Maio
Da Craxi al "giglio magico". similitudini e differenze con il M5s
In un’intervista a Italia Oggi il sindaco di Parma Federico Pizzarotti fa un paragone, che si può ritenere bizzarro, fra i metodi di Luigi Di Maio e quelli di Matteo Renzi. L’oggetto della similitudine sta nella scelta di entrambi di circondarsi di persona di fiducia a scapito della crescita di una classe dirigente di partito. Se questo è il problema, la questione tocca molte altre figure politiche. La questione può essere inquadrata nell’affermarsi, come modello, politico del cosiddetto partito del leader, nato all’interno della crisi della prima Repubblica, durante la quale i leader giunti al potere tendevano ad avere al fianco collaboratori fidati ma dovevano mediare con l’apparato di partito e di corrente. Berlusconi fu il primo a costruire dal nulla un “partito del leader” e si appoggiò sui quadri Mediaset, D’Alema portò a palazzo Chigi i suoi Lothar, gente di partito ma priva del curriculum ritenuto necessario dall’apparato, che la prese male. Forse il precursore era stato Bettino Craxi. “Ha affidato i soldi del partito a un barista di Alassio” non si capacitava Ottaviano Del Turco. Figuriamoci il legittimo tesoriere, che infatti morì d’infarto. Poi ci fu il “cerchio magico” di Bossi. Infine il “giglio magico” che non ha portato fortuna a Matteo Renzi. Tutte queste vicende, diverse fra loro, hanno però una cosa in comune: i criteri sono opinabili ma non c’è dubbio che la scelta, nel bene o nel male, sia appartenuta al leader e solo a lui. Non si può ragionevolmente dire altrettanto per le persone che, col consenso del capo politico, prendono decisioni importanti per il movimento 5 stelle. Invece di trasparenza il metodo Di Maio aggiunge nuova e inquietante opacità.