La lezione di Simone Veil
Nel momento stesso in cui madame Veil onorava il Pantheon, Matteo Salvini, in un pratone di Pontida, si apriva la patta per mostrare alla plebe il proprio aggeggio sovrano
E’ entrata nel Pantheon, Simone Veil, da più che francese, nel rispetto del mondo. Per la bestialità delle sofferenze subite e la dignità con cui le ha sopportate, da ebrea scampata e rimasta moderna restando cordialmente ebrea. Insegnando che l’orrore dei torturatori ha bisogno anch’esso, che sia maledetto, di comprensione. Perché, ha spiegato e rispiegato, niente è più sacro che la pace tra i figli delle vittime e i figli dei carnefici. E’ entrata al Pantheon nel rispetto del mondo per quel suo sguardo pieno di fascino femminile, di serenità consapevole, poi per quella fierezza che non dipendeva dal contesto, piuttosto dalla sua natura speciale. Macron, monsieur le Président, l’ha ricordata nel modo asciutto che contraddistingue i francesi quando sanno di poter andare particolarmente fieri, ed è successo tante volte, dei migliori tra loro. Simone Veil conosceva l’utopia dell’Europa e la fortuna indicibile concessa dalla possibilità di poterla toccare con le mani. Ha inorgoglito i francesi, tutti i francesi, perfino quelli che avrebbero volentieri desiderato dimenticarla. Ecco. Nel momento stesso in cui madame Veil onorava il Pantheon, Matteo Salvini, in un pratone di Pontida, si apriva la patta per mostrare alla plebe il proprio aggeggio sovrano.