Dalle magliette rosse al tifo da stadio
Così l'iniziativa, con motivazioni in linea di massima condivisibili, si è trasformata in uno scontro tra leoni da tastiera
Dotato di scarse propensioni per le divise, i distintivi o le sciarpe, non avevo minimamente preso in considerazione l’idea di mettermi una maglietta rossa sabato scorso. Pensavo per di più, pur essendo d’accordo in linea di massima con le motivazioni dell’iniziativa, che non tutti quelli che avrebbero aderito mi sarebbero stati simpatici. Infatti, quando appena sveglio ho dato un’occhiata ai social network, alcune foto postate in bella vista avevano rafforzato il mio convincimento disfattista. Poi però ho letto i commenti, in massima parte negativi, motivati quasi tutti con argomentazioni stupide nella sostanza e riprovevoli nella forma. Ho cercato nell’armadio l’unica camicia rossa che posseggo e me la sono messa. Testimoniato il mio buonismo dal tabaccaio e al supermercato, ho dato una seconda occhiata ai social per scoprire così un interessante fenomeno. Ai leoni da tastiera di stampo xenofobo, razzista e propriamente fascista si era aggiunta una nuova componente critica di segno opposto che sanciva, con una certa enfasi fastidiosa, l’indegnità di vestire il rosso da parte di chi non aveva criticato Minniti. C’è poco da fare, le maglie richiamano gli stadi, e gli stadi le curve che, come si sa, sono il posto peggiore per vedere bene la partita.