La tesi Travaglio-Davigo condanna le Ong. Ma senza prove
I giustizialisti credono che ogni imputato sia un presunto colpevole, anche se le tesi accusatorie vengono respinte. Il caso delle organizzazioni non governative
In materia di presunzione di innocenza la tesi Davigo-Travaglio è nota: l’indagato è da presumersi colpevole e se poi diviene imputato, cioè rinviato a giudizio, la presunzione diviene certezza. Ove mai fosse assolto, il malcapitato andrebbe allora considerato un tipo fortunato. Ora però, nel caso delle Ong, Marco Travaglio ha proposto una innovazione relativa alla fase delle indagini. Si può dare per certa e non solo presumere la colpa dell’indagato anche in caso di archiviazione, quando la tesi accusatoria risulti “acclarata” almeno in alcuni punti, purtroppo non essenziali per convalidarla. Così le ipotesi accusatorie di alcune procure siciliane in inchieste sulle Ong divenivano per Travaglio fatti “acclarati” che però non riuscivano a divenire reati. Di qui le archiviazioni. Dell’ultima di esse si scriveva sul Fatto di sabato scorso, dove un articolo avvertiva il lettore che la madre di tutte le inchieste sulle Ong, quella della procura di Catania guidata dal dottore Carmelo Zuccaro sta per essere archiviata. Indagine ad ampio raggio, anzi amplissimo, sottolinea Il Fatto, che deve però anche segnalare come riscontri all’ipotesi dell’accusa non si siano trovati. Anzi, precisa l’articolo, i pochi riscontri trovati non hanno potuto essere utilizzati. Intercettazioni dei servizi in Libia e cose di questo tipo che, ammesso che esistano davvero, in ogni caso, assicura Il Fatto, non evidenziano alcun reato. “Prove, zero” conclude lapidariamente l’articolo. Ma non fa nulla. “I fatti sono acclarati”.