Cosa c'è dietro il sequestro dei beni a Mario Ciancio Sanfilippo
Il procedimento di prevenzione offre all’accusa un vantaggio non irrilevante. Non si richiede la sussistenza di elementi tali da portare il giudice alla certezza, bastano fatti valutabili secondo un calcolo di probabilità
Una persona sottoposta a un procedimento penale può essere definita in due modi: è “l’indagato” fino all’udienza preliminare dove diventa “l’imputato” e tale rimane se viene rinviato a giudizio. C’è una sola eccezione, riguarda il tribunale per le misure di prevenzione antimafia di fronte al quale ci sono i pm ma non ci sono imputati bensì “proposti”. La parola suona più lieve ma in realtà “il proposto”, dalla procura antimafia, se fosse indagato, o anche imputato, sarebbe in una situazione migliore. Come spiegano in premessa i pm di Catania nella loro memoria relativa al caso di Mario Ciancio Sanfilippo, il procedimento di prevenzione offre all’accusa un vantaggio non irrilevante. Non si richiede la sussistenza di elementi tali da portare il giudice alla certezza, bastano fatti valutabili secondo un calcolo di probabilità. Non servono prove. Certo, spiegano i pm, non bastano sospetti o illazioni ma gli indizi sì, quelli bastano. Anche in un processo in corte d’assise possono bastare, in verità, ma in quel caso devono essere tanti, convergenti, tali da indurre a una ragionevole certezza e non al criterio delle probabilità. Nel processo di prevenzione invece gli indizi non devono necessariamente essere gravi, precisi e concordanti, sottolineano i pm. Se ne può dedurre che “il proposto” possa avere la peggio anche solo a causa di indizi lievi, indeterminati e contraddittori. Su basi di questo tipo possono essere sequestrati i beni. Qui, anche se è stato usato come spunto, non si intende minimamente dare un giudizio negativo sull’iniziativa della procura catanese, peraltro il tribunale le ha dato ragione. Si vuole solo portare l’attenzione su una procedura.