David Ermini eletto vice presidente del Csm (foto LaPresse)

Ermini vicepresidente del Csm è una batosta storica per i grillini

Massimo Bordin

Di Maio e Bonafede non hanno ancora capito il senso della sconfitta subita. Davigo, invece, sì

Per eleggere il vicepresidente del Csm a Palazzo dei Marescialli ci sono volute tre votazioni, quando i precedenti indicavano quasi sempre come risolutiva la prima votazione, per quanto a maggioranza qualificata. Questa volta si trattava di scegliere fra due soluzioni ritenute possibili, anticipate sui giornali e variamente analizzate. Qui, per la verità, erano state definite l’una ai confini della realtà, l’altra fuori da ogni logica. Benissimo. Ha vinto la prima, per diversi motivi, il principale dei quali sta nella definizione che qui si era data della seconda opzione. La candidatura di un consigliere laico proposto dal M5s – a prescindere da qualsiasi considerazione di merito – era chiaro non potesse affidarsi solo alle correnti togate minoritarie. Pensare che l’organo di autogoverno della magistratura potesse mettere in minoranza i magistrati era una pretesa assurda. Naturalmente il M5s ha imboccato questa strada con decisione, malgrado gli avvertimenti, sia pure tardivi, del Fatto quotidiano. Il risultato che hanno ottenuto è stato comunque un cambiamento storico: per la prima volta a presiedere i lavori del Consiglio è stato votato un consigliere riconducibile all’area di opposizione e non a quella di governo. Le dichiarazioni a caldo del capo politico del Movimento e del ministro della Giustizia mostrano come non abbiano capito il senso della batosta subita. Le correnti principali dell’Anm non hanno, come ha detto Bonafede, “deciso di fare politica” né, come ha detto Di Maio, “scelto il renzianissimo Ermini”. La scelta politica delle toghe è la solita, ma ribadita con la iattanza che la situazione consente loro. Renzi non li riguarda. 

     

Hanno solo tenuto a far sapere che a casa loro, l’organo di autogoverno, comandano loro, comandano le loro correnti più potenti senza le quali maggioranze a Palazzo dei Marescialli non se ne possono fare. Non hanno deciso di fare politica ma di continuare a condizionarla. Di Maio e Bonafede non l’hanno capito, Piercamillo Davigo, altra tempra, invece sì. Basta leggere il comunicato di Autonomia & Indipendenza per sapere chi ha vinto e chi ha perso, anche se non vengono fatti nomi. “Sono caduti nel vuoto gli autorevolissimi auspici formulati nelle più alte sedi per non privilegiare, ancora una volta, un componente proveniente direttamente dalla politica”. Perfidamente si fa notare come proprio il presidente Mattarella abbia cercato in tutti i modi di evitare una situazione che può creargli solo imbarazzi. Il presidente, in questa logica, è in realtà lo sconfitto non certo il regista dell’operazione, tanto meno addebitabile al Pd, nello stato in cui è. Anche se il deus ex machina siede in Parlamento come il comunicato spiega nel passaggio successivo, che parla di “un vicepresidente espresso da una forza che, oggi minoritaria, ha governato fino a pochi mesi addietro e per la quale siede in Parlamento un magistrato in aspettativa, ex componente del Csm ed ex segretario generale di Magistratura indipendente”. L’identikit è parziale, il personaggio è stato anche sottosegretario alla Giustizia, ma sufficiente a identificare Cosimo Ferri, ora parlamentare del Pd, tessitore di una trama complicata ma alla fine vittoriosa. Sembrava impossibile ma occorre ammettere che il corpaccione della magistratura associata ha fermato le sue ali estreme, unite ma minoritarie, e preso in ostaggio l’opposizione politica. Tratteranno con i barbari, dopo avergli dato prova della loro forza.