Un altro paradosso nel "sistema Montante"
La Cassazione mette in discussione la questione dell'associazione a delinquere, cioè il reato chiave di tutto il processo
Da ieri la vicenda giudiziaria di Antonello Montante, che dura da tre anni e di cui qui si è parlato più volte, si arricchisce di un nuovo paradosso. Indagato in origine per concorso in associazione mafiosa, il dirigente confindustriale si è visto mesi fa arrestare non per questa imputazione, che veniva anzi archiviata per insussistenza di indizi, ma per aver cercato illecitamente di carpire informazioni sull’indagine che lo riguardava. La procura di Caltanissetta contestava a Montante reati gravi come la corruzione nei confronti di funzionari di polizia giudiziaria e l’accesso abusivi ai sistemi informatici. I reati, sosteneva la procura nissena, erano stati commessi da Montante insieme all’ex capo della security di Confindustria Diego Di Simone Perricone e al colonnello Giuseppe D’Agata, così da far scattare anche un’ulteriore imputazione per associazione a delinquere che diventava una sorta di reato chiave di tutto il processo. La stampa, soprattutto Repubblica più ancora del Fatto, costruiva l’immagine di un “sistema Montante” che condizionava la vita politica siciliana con metodi illegali. Il dibattimento, con rito abbreviato chiesto dagli imputati, è da poco iniziato di fronte al tribunale di Caltanissetta mentre altri due spezzoni dell’inchiesta sono ancora nella fase delle indagini preliminari. Benissimo. Ieri è stata resa nota una pronunzia della Cassazione che rimette in discussione proprio la questione dell’associazione. I giudici di piazza Cavour hanno accolto il ricorso dei difensori contro la custodia cautelare per questo reato, ritenendolo non sufficientemente provato. Forse “il sistema Montante” non c’è. Avvertire Report.