(Foto Imagoeconomica)

Altro che trattativa. I mafiosi volevano il potere

Massimo Bordin

Nel 1993, Messina Denaro venne preferito a Provenzano perché il vecchio corleonese era ritenuto legato alla politica

Qui si è parlato altre volte del processo che si sta svolgendo a Reggio Calabria il cui senso, a farla breve, è protrarre il periodo della cosiddetta trattativa stato-mafia aggiungendo alla lista degli attentati mafiosi un duplice omicidio di carabinieri avvenuto nel 1994 in Calabria da addebitarsi a un patto fra Cosa nostra e ’ndrangheta. La questione è complicata e i magistrati calabresi paiono affrontarla con maggior rigore, e anche con qualche successo, rispetto ai colleghi palermitani e a quelli della Dna che su questa inchiesta calabrese hanno avuto un ruolo propulsivo. Intanto però, trattativa a parte, il processo mette insieme, risentendo numerosi pentiti di mafia, alcune acquisizioni su Cosa nostra e la sua storia recente.

 

Tre giorni fa è stato sentito Salvatore Grigoli, ora collaboratore ma in passato assassino di don Puglisi e partecipante al rapimento del piccolo Di Matteo. Grigoli, parlando della gerarchia mafiosa, ha confermato quello che anche altri pentiti hanno raccontato alla corte di assise di Reggio. A gennaio 1993, quando Riina viene arrestato, a succedergli come capo dei capi non fu, come molti scrissero, Bernardo Provenzano ma Leoluca Bagarella. Quando poi anche Bagarella fu arrestato, mentre si cercava il successore gli arresti di Giuseppe Graviano e Giovanni Brusca spianarono la strada a Matteo Messina Denaro che venne comunque preferito a Provenzano, all’epoca ancora latitante. Il vecchio corleonese, questo il nocciolo della questione, era ritenuto legato a un rapporto con la politica che gli altri mafiosi avevano ripudiato avvolti in una spirale terroristica di tipo colombiano. Altro che trattativa, volevano il potere.

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